Il Growth hacking

Il Growth hacking

Pensare fuori dagli schemi per far crescere un'azienda

09/12/2020 , tempo di lettura 3 minuti

Partiamo dalle definizioni. Il termine growth hacking è stato coniato nel 2010 da Sean Ellis, imprenditore, business angel e consulente per startup che per primo ne ha parlato sul suo blog. Consiste, in pratica, nel rendere il processo di crescita (e guadagno) di un’azienda parte integrante della strategia, ma con tecniche non convenzionali (da cui il termine hacking).

Da quel post sul blog di Ellis nel 2010, l’idea di poter crescere attraverso metodologie non convenzionali, ma comunque strutturate e scientifiche, ha fatto la fortuna di diverse startup e grandi aziende.

Diventato non a caso il padre del Growth Haking Movement, Ellis ha pubblicato sul tema il libro “Hacking Growth”, in cui spiega che non esistono in realtà soluzioni ottimali e replicabili per far crescere il proprio business e i propri clienti: il grotwh hacking è piuttosto un processo per trovare le vie più efficaci tra analisi e sperimentazioni. Più che un risultato – dice Ellis – è quindi un percorso che passa attraverso il prodotto, il marketing, le pr, il customer service e l’analisi dei dati. I dati, appunto, sono l’ingrediente segreto per capire come combinare i diversi elementi per arrivare ai risultati sperati.

Il growth hacking è quindi un mix di marketing creativo, sperimentazione, sviluppo web e automazione. Ma il modo migliore per capire di cosa stiamo parlando forse è conoscere la figura del growth hacker, ovvero colui che si occupa di far crescere un prodotto o un servizio, pensando al di fuori degli schemi.


La caratteristiche del growth hacker

Ecco la definizione di Ellis: “Il growth hacker è una persona che ha come stella polare la crescita. Tutto ciò che fa riguarda questo tema, in particolar modo analizza l’impatto delle azioni su una crescita scalabile”.

Il growth hacker oggi è un professionista che grazie alle sue competenze trasversali in digital marketing, comunicazione, programmazione e user experience, riesce ad analizzare il mercato di riferimento e a ottimizzare il processo di acquisizione degli utenti, sperimentando e implementando nuove strategie di crescita aziendali. Non copre sempre tutte le competenze necessarie, ma dirige i processi che riguardano più figure. E spesso lo fa con risorse limitate, tempi stretti e in una condizione di grande concorrenza. Ma soprattutto pensando out of the box.

Per raggiungere il risultato, non ci si limita ai tradizionali strumenti di marketing. Il growth hacker usa metodi innovativi, tecnologie e canali diversificati in grado di fargli raggiungere l’obiettivo, sbloccando anche situazioni difficili. Fornendo all’azienda un metodo operativo per guadagnare di più spendendo meno e riuscendo a imporsi sulla concorrenza, con metodi di rottura.

Ogni prodotto, servizio, azienda e organizzazione, ha bisogno di una strategia ideata su misura, per questo non è possibile seguire il percorso fatto da altri.

Il growth hacking è caratterizzato da una forte base analitica e scientifica. Gli elementi fondamentali in un processo di growth hacking sono: circoscrivere gli obiettivi; implementare gli strumenti di analisi per misurare quegli obiettivi; sperimentare, facendo leva sui propri punti di forza; ripetere un certo processo se risulta corretto. Prima su una scala minima, e poi ampliando la platea di riferimento.

L’obiettivo principale diventa quello di portare traffico effettivamente interessato a un certo prodotto. Creando un funnel – ovvero un percorso preciso – attraverso cui monitorare il proprio target. Trasformando prima i visitatori occasionali in utenti, e poi gli utenti in clienti soddisfatti.

Tra i primi esempi vincenti di growth hacking c’è quello di Hotmail. Alla fine di ogni email venne inserito un anchor text che riporta la frase “Ps: Ti amo”, con un link per ottenere il servizio di posta online gratuito. Un trucco che portò alla esplosione del servizio.

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