Smart working: abbiamo ancora bisogno degli uffici?

Abbiamo ancora bisogno degli uffici?

A causa della pandemia, in tutto il mondo, gli uffici si sono svuotati. Ci serviranno ancora quando torneremo alla normalità? L’analisi del New Yorker

09/02/2021 , tempo di lettura 4 minuti

Fino a 11 mesi fa in ufficio trascorrevamo gran parte delle nostre giornate, lavorando a stretto contatto con i colleghi in spazi di lavoro comuni che nel corso dei decenni sono diventati sempre più grandi e sempre più pieni. Oggi, alcuni di noi non si siedono a quella che un tempo era la loro scrivania da quasi un anno. La pandemia di Covid-19 ha svuotato uffici e palazzi. Interi quartieri, centri delle attività produttive, sono rimasti deserti da quando lo smart working è diventato la regola e non più l’eccezione. Una realtà comune a tutto il mondo che ha spinto il giornalista John Seabrook a porsi una domanda: “la pandemia ha trasformato per sempre l'ufficio?”. 

In un lungo articolo pubblicato sul New Yorker, Seabrook ha cercato di capire quale sarà il futuro degli uffici dopo la pandemia, parlando con progettisti, manager e Ceo e partecipando alle riunioni di alcune grandi aziende americane - tenute rigorosamente su Zoom - in cui si discuteva su quale fosse il miglior modo per coniugare lavoro da remoto e lavoro in ufficio. Una riflessione più che mai necessaria dato che, secondo un sondaggio di UpWork, anche quest’anno negli Usa il 27% del lavoro sarà svolto a distanza. 

Com’era prima 

Nell’era pre-Covid le continue innovazioni tecnologiche immesse sul mercato venivano utilizzate per migliorare il lavoro dei team che si riunivano nei vari uffici, quasi tutti rigorosamente open space. Oggi, quella stessa tecnologia, serve a mantenere le distanze tra i dipendenti di un’azienda, consentendo loro di lavorare da casa. “La tecnologia digitale non dovrebbe sostituire la connessione tra persone, dovrebbe favorirla quando ci sono limitazioni di spazio e tempo”, ha osservato il Ceo di Microsoft Satya Nadella, secondo cui lo smart working rischia di bruciare “una parte del capitale sociale costruito” nel passato. Il manager ammette però che il lavoro da casa consente anche di sviluppare “un diverso tipo di empatia verso i colleghi”. 

Le conseguenze dello smart working 

Il New Yorker ha interpellato R/GA, multinazionale attiva nella consulenza e nel marketing che fornisce servizi a colossi come Slack, Reddit e Airbnb. Il consigliere delegato della società ha spiegato a Seabrook che da quando i lavoratori dell’azienda hanno cominciato a lavorare a distanza “la produttività è salita alle stelle”

R/GA ha condotto diversi sondaggi interni per capire come organizzarsi per il prossimo futuro. Nel primo, effettuato tra marzo e aprile, i lavoratori si sono detti soddisfatti del lavoro a distanza, nel secondo hanno cominciato a sentire la mancanza dei colleghi. Nella terza indagine, fatta a settembre, l’idea di tornare in ufficio per 2-3 volte a settimana è piaciuta alla maggior parte degli intervistati, anche perché lo smart working ha portato con sé un forte aumento di ansia e stress

Gli uffici del futuro 

Sulla base di questi sondaggi R/GA ha dunque costruito un prototipo di uffici del futuro, affidando l’incarico di riprogettare gli spazi a società esterne. Seabrook ha partecipato alla riunione di O+A, azienda californiana di interior design che ha creato gli uffici di Facebook, Uber e Yelp. L’azienda sta sviluppando uno spazio di lavoro che possa adattarsi alle esigenze generate dalla pandemia - distanziamento in primis - ma che possa essere utile e funzionale anche dopo. Tra le idee in fase di sperimentazione c’è quella di costruire uno spogliatoio nel quale i dipendenti possano cambiarsi d’abito, riporre i propri oggetti, misurarsi la temperatura e isolarsi in caso di positività al virus. I progetti includono anche spazi in cui poter posizionare l’attrezzatura necessaria per coordinare lavoratori presenti in ufficio e lavoratori in smart working, un’area separata per i neoassunti, un’altra ancora dove poter trascorrere le pause in totale sicurezza. 

Il lavoro ibrido 

Due-tre giorni in ufficio, gli altri in smart working. Per il momento, sembra essere questo il futuro. I lavoratori potranno scegliere se lavorare da remoto o in presenza o, in alternativa, svolgeranno la loro attività su turni “misti”, evitando di assembrarsi all’interno dello stesso spazio. C’è però un problema da risolvere: “C’è molta preoccupazione riguardo alla possibilità che le aspettative e i processi finiscano per favorire quelli fisicamente presenti”, spiega R/GA e c’è già chi ha avanzato altre perplessità su questa soluzione: “è come prendere il peggio di entrambi i mondi. Meglio piuttosto rimanere tutti in virtuale”, ha dichiarato al New Yorker Ethan Bernstein, professore della Harvard Business School. Senza contare che, con il lavoro ibrido, le aziende continueranno a pagare affitti elevatissimi per tenere in ufficio solo la metà (o addirittura meno) dei lavoratori. 

Cosa faranno le aziende Hi-Tech 

Twitter ha offerto ai propri dipendenti la possibilità di lavorare da casa per sempre, Facebook prevede che entro il 2030 il 50% del lavoro dell’azienda sarà svolto da remoto. Nonostante ciò, il colosso dei social network ha deciso di acquistare per 300 milioni di euro un un complesso immobiliare da 37mila metri quadrati a Bellevue (Washington). Microsoft, da parte sua, ha fatto sapere che i lavoratori dell’azienda resteranno in smart working fino a settembre, ma intende ampliare il contratto immobiliare per il suo campus di Redmond. Secondo il vicepresidente dell’area Modern Workplace dell’azienda, Jared Spataro, la pandemia di Covid-19 sta innescando “una seconda trasformazione digitale” che si tradurrà in uffici virtuali incentrati su servizi di cloud che collegheranno il lavoro dei dipendenti. 

“Crediamo che ogni azienda avrà bisogno di investire in spazi di lavoro digitali per ciascun dipendente” ha affermato Spataro, aggiungendo che alcune società stanno già lavorando per implementare piattaforme e strumenti connessi a questi servizi. 

Il guscio vuoto 

“Un giorno di dicembre ho deciso di tornare nell'ufficio del New Yorker, al ventitreesimo piano del One World Trade Center, a Lower Manhattan, che il personale aveva improvvisamente lasciato a marzo”, racconta Seabrook sul giornale. “Per quanto ne sapevo, ero l'unica anima nel nostro ufficio progettato da Gensler. I promemoria dei post-it di marzo erano arricciati ai bordi. Il silenzio era opprimente. Seguendo la nuova segnaletica direzionale unidirezionale, alla fine sono arrivato alla mia scrivania. Ho avviato il mio desktop virtuale, pensando che avrei potuto sfruttare la tranquillità e la privacy a mia disposizione per svolgere un po' di lavoro in ufficio. Ma non riuscivo a concentrarmi. Mi mancavano i miei colleghi. Che sia recintato, aperto o basato su cloud, un ufficio riguarda le persone che ci lavorano. Senza le persone, l'ufficio è un guscio vuoto”, conclude il giornalista.

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