Come costruire data visualization accessibili
Gli ostacoli alla comprensione di una data visualization possono essere numerosi: alle disabilità fisiche alle discriminazioni, ecco una breve guida per imparare a utilizzare un design inclusivo
L’obiettivo di una data visualization dovrebbe essere fin dall’origine quello di semplificare e chiarire i contenuti di un determinato argomento, rendendoli accessibili al numero più ampio possibile di utenti.
Ma nella data visualization possono finire, in modo involontario, anche i nostri bias: per esempio, potremmo utilizzare rosa e azzurro per indicare dati riferiti a donne e uomini, replicando uno stereotipo di genere. Oppure, potremmo trascurare il fatto che alcuni font sono problematici per chi soffre di dislessia o che determinate combinazioni di colori possono essere un ostacolo per chi ha problemi di daltonismo. O ancora creare una dashboard poco fruibile su schermi diversi da quello del computer.
Da accessibile a inclusiva
Per questo da qualche tempo nella comunità degli addetti ai lavori si è sviluppato un dibattito interessante su cosa sia effettivamente una data visualization accessibile o, ancor meglio, inclusiva.
Il punto di partenza del discorso è proprio quello dell’accessibilità fisica da parte degli utenti, indipendentemente dalle capacità visive, motorie, uditive o di parola individuali. Per i prodotti digitali, il riferimento di partenza è costituito dalle Web Content Accessibility Guidelines, una serie di parametri condivisi a livello internazionale per costruire un design accessibile.
Tuttavia proprio in termini di inclusività, è importante essere consapevoli di almeno un paio di aspetti rilevanti. Al momento, infatti, c’è una maggiore attenzione ad alcuni tipi problemi - il daltonismo, ad esempio - a scapito di altri tipi di disabilità, come l’ipovisione, che però sono più diffusi nella popolazione. Come scrive Frank Elavsky, esperto di dati e accessibilità, è importante iniziare a pensare a soluzioni che possano andare incontro a una molteplicità di problemi differenti, che includono anche i disturbi cognitivi, come il deficit di attenzione. Insieme a un gruppo di colleghi e volontari, Elavsky ha creato Chartability e il gruppo Dataviza11y che lavorano proprio nella direzione di ampliare le soluzioni disponibili per differenti necessità.
Contro gli stereotipi
Un altro rischio insito nella rappresentazione visuale è legato all’uso di elementi - definizioni, colori, font, icone e legende, per citarne alcuni - che veicolano discriminazioni di razza, genere o nei confronti di persone disabili.
Qui un buon punto di riferimento per iniziare a riflettere sulla questione è costituito dall’Inclusive Design Guide, che fornisce strumenti e soprattutto metodi e buone pratiche per imparare a costruire esperienze digitali e fisiche rispettose della diversità.
Barriere all'ingresso
Da ultimo, il discorso si allarga anche all’inclusività di altre categorie: come si può assicurare accessibilità anche a chi ha scarsa alfabetizzazione numerica e digitale? A chi vive in aree con poca o nessuna connessione? A chi ha la possibilità di connettersi solo tramite il telefono?
L’inclusività dunque richiede un approccio globale alla progettazione che tenga insieme l’accessibilità fisica, il contenuto, i limiti connessi al digital divide e all’alfabetizzazione digitale. Una sfida interessante e costruttiva, non solo nell’ambito della data visualization.