
Il benessere in azienda non è solo il welfare aziendale
Il cultural welfare apre nuove prospettive per il benessere in azienda: dalla cultura come strumento di cura alla crescita delle persone e al loro coinvolgimento.
Quando si parla di benessere in azienda, le prime cose che vengono in mente sono sempre benefit, servizi di welfare e di work-life balance. E naturalmente buoni pasto, assicurazioni sanitarie, flessibilità oraria o servizi di supporto psicologico sono tutte iniziative fondamentali per garantire il benessere delle persone in azienda.
Di sicuro, in un periodo in cui si è parlato spesso di “Great Resignation”, “Quite quitting” e di una distinzione più marcata tra vita personale e lavoro soprattutto per le nuove generazioni, il tema del benessere aziendale è sempre più centrale.
Una sensazione confermata dalla Global Wellbeing Survey promossa da AON nel 2023: fra le aziende coinvolte a livello mondiale, il 38% mette il wellbeing dei dipendenti tra le principali priorità per i prossimi cinque anni, l’87% delle organizzazioni ha almeno un’iniziativa di wellbeing attiva e l’83% una strategia di wellbeing più ampia.
Ma quando parliamo di benessere – nel lavoro ma anche nella vita – non intendiamo solo salute e sicurezza economica: il benessere, anche in azienda, comprende anche la sfera sociale ed emozionale delle persone. Qualcosa che non ha a che fare solo con singole iniziative, quindi, ma con la cultura aziendale nel suo complesso.
La cultura come strumento di benessere
La cultura aziendale, intesa come un insieme di valori, comportamenti e narrazioni condivise, gioca un ruolo chiave nella qualità della vita professionale. Un ambiente di lavoro che valorizza la cultura - attraverso il sapere, la creatività e la condivisione - può migliorare il benessere individuale e di conseguenza la produttività collettiva.
E può farlo nel modo più concreto possibile, come vero e proprio strumento di cura. Infatti, sono diversi gli studi che dimostrano che l'esposizione a esperienze culturali riduce lo stress, migliora la concentrazione e, in generale, fa bene alla salute, anche in un’ottica di prevenzione.
Già il report Art Consumption and Well-being During the Covid-19 Pandemic aveva evidenziato il valore attribuito dalle persone alla cultura – l’ascolto di musica, la visione di un film, la lettura e la scrittura, il disegno o la pittura – nel mitigare gli stati d’animo negativi durante la pandemia.
Un’evidenza confermata direttamente anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che considera ormai centrale la partecipazione culturale nella costruzione di politiche sanitarie nazionali e internazionali.
Una prospettiva sul legame tra cultura e salute che apre possibilità inedite per pensare al benessere in azienda, con l’idea di un vero e proprio Cultural Welfare.
“L’importante è la salute”, ma non solo
Parlare di cultura in azienda vuol dire sia favorire l’accesso a contenuti ed esperienze culturali per le proprie persone sia investire al proprio interno in una cultura aziendale forte.
In quest’ultima accezione, uno dei modi più potenti in cui la cultura può favorire il benessere è attraverso la narrazione: le storie danno senso al nostro lavoro e rafforzano la connessione con l’azienda. In questo senso, un’organizzazione che sa raccontarsi bene e coinvolge i suoi dipendenti in una narrazione condivisa, costruisce anche un ambiente più motivante e coeso.
Ma se pensiamo invece a quello che può portare investire in contenuti ed esperienze culturali anche esterni e apparentemente distanti dal mondo aziendale, le implicazioni di questa idea di Cultural Welfare vanno molto al di là della salute e del senso di appartenenza.
Un ambiente che investe nella cultura stimola anche la creatività e il problem solving. Perché la possibilità di esplorare nuovi linguaggi, ispirarsi ad altre discipline e aprirsi a diverse prospettive allena il pensiero critico e aiuta a trovare soluzioni più originali alle sfide aziendali.
Inoltre, la cultura non è solo un’attività individuale ma può diventare un’esperienza condivisa: eventi culturali, gruppi di lettura aziendali e progetti di storytelling interno favoriscono così la costruzione di relazioni più profonde tra i colleghi, aumentando la fiducia reciproca e migliorando la collaborazione.
Coltivare il benessere culturale in azienda
Al di là dei singoli vantaggi per gli individui e per le organizzazioni, coltivare il benessere culturale delle persone vuol dire portare avanti un’idea di impresa che non si limita a concepire le aziende come semplici attori economici che hanno il solo scopo di produrre e fare profitto.
Significa immaginare le aziende come attori sociali che hanno la responsabilità di una comunità di persone che passano la maggior parte delle loro vite a lavoro e la responsabilità di contribuire alla crescita di quelle persone in tutti gli aspetti che le rendono tali, non solo in quelli che riguardano esclusivamente la sfera lavorativa.
Per dirla con le parole di Adriano Olivetti, un imprenditore che con straordinaria lungimiranza aveva già immaginato questa visione negli Anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”.
Lo stesso Olivetti che aveva messo la bellezza al centro della sua idea di impresa già a cominciare dall’architettura della sede principale di Ivrea, e poi nei vari stabilimenti e uffici costruiti in giro per l’Italia e per il mondo.
Olivetti fu anche tra i primi ad affiancare all’assistenza sociale e sanitaria per i dipendenti, veri e propri servizi culturali: percorsi di formazione tecnica ma anche di cultura generale, una vasta biblioteca aziendale, iniziative ed eventi aperti ai dipendenti e alle loro famiglie con studiosi delle più diverse discipline.
Un esempio che viene dal passato ma sembra indicarci una strada possibile per il futuro.
Se vuoi saperne di più, scrivici.
In foto: Casa Blu - Ivrea. Sede Centrale, di Manlio Tenaglia