
L'audience engagement nel settore culturale. Intervista Elisa Ferrari
L'importanza di ripensare al ruolo del pubblico nella progettazione culturale raccontato da Elisa Ferrari, progettista, curatrice e fundraiser.

Coinvolgere il pubblico nel settore culturale significa costruire relazioni autentiche, creare luoghi inclusivi e di scambio reciproco e generare processi di partecipazione che vadano oltre la semplice fruizione. Attraverso l’esperienza diretta nella progettazione culturale, emerge la necessità di creare strategie e pratiche che valorizzino la diversità delle comunità, rendendo la cultura più accessibile. Ne abbiamo parlato insieme a Elisa Ferrari in occasione della partenza del suo corso Strategie di Audience Engagement per la cultura per sviluppare nuove modalità di interazione e progettazione condivisa.
Ci racconti del tuo percorso e di un progetto a cui hai lavorato a cui sei particolarmente affezionata?
Il mio percorso professionale si è sviluppato nel corso degli anni attraverso un intenso lavoro prima come artista, poi come progettista culturale, curatrice e fundraiser, con un forte orientamento verso le arti performative e le pratiche partecipative. Ho avuto il privilegio di collaborare con realtà artistiche e culturali sia in Italia che all’estero, come il Centre Chorégraphique National De Nantes, il Centro di Produzione per la danza Virgilio Sieni/CANGO, Amnesty International Italia, e Les 2 Scènes di Besançon. Questo mi ha permesso di approfondire la mia esperienza in contesti molto diversi e di confrontarmi con una varietà di approcci alla cultura e alla partecipazione. Oggi lavoro come responsabile progettazione e sviluppo a BASE Milano.
Uno dei progetti che mi ha particolarmente coinvolta è quello che sto sviluppando attualmente con BASE Milano, un centro culturale che sta attraversando una intensa fase di trasformazione interna e di apertura verso nuovi pubblici. Nel 2023, abbiamo deciso di orientare la nostra progettualità verso una nuova cultura aziendale e progettuale, con un forte focus sull’accesso culturale. Il nostro obiettivo è garantire l’inclusività e l'accessibilità per le comunità sottorappresentate, abbattendo le barriere legate al razzismo, all'abilismo e alla violenza di genere. Abbiamo messo in atto azioni concrete per creare uno spazio che non solo accoglie, ma promuove attivamente la partecipazione di persone che, spesso, sono escluse dalla vita culturale e sociale. La nostra strategia di audience engagement è stata orientata non solo alla partecipazione, ma anche alla costruzione di relazioni autentiche e rispettose, che potessero favorire una vera e propria trasformazione sociale. L’esperienza con BASE è per me un esempio tangibile di come l’engagement possa andare oltre la semplice partecipazione, trasformandosi in un processo di apprendimento reciproco e continuo, che non si limita a rispondere alle esigenze, ma che cerca di dare voce a chi solitamente non è “previsto”.
Come si rende vivo uno spazio culturale e che ruolo giocano i suoi pubblici?
Rendere vivo uno spazio culturale non è solo una questione di programmi interessanti o di eventi di grande impatto. La chiave è costruire un rapporto autentico con il pubblico, rendendolo parte attiva di ciò che accade all’interno di quello spazio. Un luogo culturale diventa veramente vivo quando riesce a rispondere ai bisogni e ai desideri delle persone, creando uno spazio di scambio, di apprendimento e di partecipazione.
Gli spazi culturali devono essere in grado di ascoltare e accogliere le voci diverse della comunità che li anima, creando un ambiente inclusivo in cui tutti possano sentirsi parte del processo creativo. In questo senso, i pubblici non sono solo spettatori, ma diventano co-creatori, attori fondamentali che arricchiscono il progetto con le loro esperienze, le loro storie e la loro partecipazione. Il loro coinvolgimento deve essere autentico e rispettoso delle diverse identità, culture e necessità, creando un circolo virtuoso in cui lo spazio culturale cresce e si adatta a ciò che la comunità richiede e desidera. Capire che il pubblico non è un elemento passivo, ma una forza vitale che contribuisce a dare energia e significato allo spazio culturale. Se riesci a coinvolgere i pubblici in modo autentico, a renderli parte di un processo, allora lo spazio non è più solo un contenitore, ma diventa un luogo di incontro, di crescita e di cambiamento. E nel mio corso lavoreremo proprio su come costruire e coltivare questi legami tra spazio culturale e pubblico, creando esperienze che possano avviare processi trasformativi.
Che definizione daresti di “audience development”? Perché oggi è importante?
Per me, fare audience development oggi significa andare oltre la semplice attrazione del pubblico. Significa creare processi autentici di ascolto e partecipazione, dando voce a chi solitamente è escluso, e costruendo insieme esperienze culturali che siano veramente inclusive. Non si tratta solo di progettare per il pubblico, ma di progettare con il pubblico. È un processo di co-creazione che riconosce e valorizza le diversità, facendo in modo che ognuno possa sentirsi parte attiva nella vita culturale. In un contesto come il nostro, sempre più diversificato e complesso, l’audience development diventa un approccio necessario per abbattere le barriere che spesso escludono chi ha meno accesso alla cultura. Non è più sufficiente adattare a posteriori gli spazi e i contenuti, ma è fondamentale cominciare dall’accessibilità come punto di partenza nella progettazione, facendo in modo che ogni esperienza culturale sia pensata per tutti, fin dall’inizio.
L’obiettivo dell’audience development è proprio questo: costruire relazioni vere e reciproche, dare spazio a voci che solitamente non hanno accesso alle arene pubbliche e riconoscere il loro ruolo fondamentale nella cultura. È un lavoro di lunga durata, che implica un dialogo continuo e la volontà di far evolvere insieme le pratiche culturali, rispondendo alle necessità delle comunità e co-creando contenuti con loro, senza estrarre valore ma condividendolo.
3 consigli a chi vuole affacciarsi nella progettazione di eventi o di attività in ambito culturale.
Se dovessi dare tre consigli a chi vuole affacciarsi nel mondo della progettazione culturale, il primo sarebbe: lanciare il cuore oltre l'ostacolo. Questo significa non avere paura di affrontare sfide ambiziose, ma avere ben chiaro l'obiettivo che si vuole generare nel mondo. Non si tratta solo di pensare in grande, ma di essere il cambiamento che desideriamo vedere, di progettare iniziative culturali che non solo rispondano a una domanda, ma che contribuiscano a trasformare il contesto, la società, e il nostro stesso modo di vivere la cultura. Ogni progetto deve partire dalla consapevolezza che possiamo fare la differenza, anche se con piccoli passi.
Il secondo consiglio è essere sempre affamati di conoscenza e curiosi di tutto ciò che accade nel mondo. La progettazione culturale non può limitarsi a guardare solo dentro il proprio settore. È fondamentale sviluppare uno sguardo trasversale che esplori diverse discipline, che ci consenta di comprendere tendenze, movimenti e cambiamenti in atto in vari ambiti. Essere curiosi significa arricchire i propri progetti con idee innovative, e riuscire a trovare connessioni inaspettate che rendono l’esperienza culturale sempre più rilevante e stimolante.
Infine, il terzo consiglio è riscoprire il potere dell’alleanza. La cultura si nutre di collaborazioni genuine, di scambi e di reti che uniscono competenze diverse. Fare assieme è una delle chiavi per generare trasformazioni durevoli e di valore, oltre il mero interesse per la condivisione delle risorse economiche, bensì per mettere in rete valori e competenze che, da soli, non saremmo in grado di offrire.