L’abitudine di non leggere

L’abitudine di non leggere

I dati ISTAT 2022 sulla lettura mostrano numeri poco incoraggianti, una fotografia rimasta pressoché identica a quella del 2000.

19/07/2023 , tempo di lettura 3 minuti

Secondo l’ultima indagine ISTAT, nell’ultimo anno in Italia la quota di persone dai 6 anni in su che ha letto almeno un libro per motivi non strettamente legati alla scuola o al lavoro è pari al 39,3%, un numero pressoché identico al 2000 (39,1%) e che invece si allontana dal picco raggiunto nel 2010 (46,8%): dati che ci informano che la contrazione del 2022 rappresenta il livello più basso mai rilevato in quasi venticinque anni. Dal 2013 emerge che circa 6 italianə su 10 non leggano neanche un libro in un anno e, anche fra chi invece è maggiormente abituato alla lettura, mediamente il numero di libri letti non sono poi molti: nel 2022 sono stati in media 7,4, di poco superiore ai 6,3 del 2000. Sul totale, prevale il profilo dellə lettorə “debole”, con il 17,4% del campione che legge al massimo 3 libri in un anno, mentre la categoria di lettorə forti è del 6,4% (persone che hanno letto almeno 12 libri nei 12 mesi precedenti l’intervista).  

Fra chi legge, la quota più consistente di lettorə è rappresentata dallə giovani fino a 24 anni, mentre in assoluto il pubblico più affezionato alla lettura sono ragazze della fascia d’età 11-14 anni. Dal 1988 a oggi le lettrici sono sempre state in maggioranza rispetto ai lettori, registrando nel 2022 una percentuale del 44% rispetto al 34,3% di lettorə. La ricerca evidenzia anche che leggere è un’attività più diffusa fra le persone residenti nelle regioni del Nord, del Centro e in Sardegna, mentre al Sud la quota di lettorə non arriva al 28%. Per quanto riguarda il titolo di studio, fra le persone di età pari o superiore ai 25 anni, a leggere sono il 68,9% dellə laureatə contro il 43,2% dellə diplomatə e il 17,1% di chi possiede la licenza media. 

Scorrere questi dati senza inquadrarli, però, non solo restituirebbe un’immagine parziale ma, soprattutto, scaricherebbe tutta la responsabilità su chi legge e ben poca su chi dovrebbe incoraggiare e sostenere la lettura. 


Perché non leggiamo?

In un Paese in cui mediamente si dedicano solo 5 minuti alla lettura e la maggior parte delle persone che legge non supera i tre libri l’anno, questi dati non possono sorprendere. È anzi un risultato coerente con ciò che emerge da un report Ocse del 2019, dove si può osservare come in Italia quasi il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni viene definito “analfabeta funzionale”, una persona che non comprende ciò che legge e non è in grado di elaborare e appropriarsi delle informazioni racchiuse in un testo. In linea, dunque, anche i risultati INVALSI del 2023 – per quanto la natura del test stesso sollevi diverse criticità – che riportano come nelle sole scuole superiori su un milione di studentə circa la metà termina il proprio percorso di studi senza avere sviluppato quelle che – secondo il test – sono considerate le competenze basilari in italiano e matematica. 

È vero che non è la quantità a parlare di qualità, eppure i numeri che l’ISTAT ci consegna parlano da sé e se leggere uno, massimo tre libri in un anno è davvero poco, anche far partire la categoria di lettorə forti dai dodici libri in su non è molto incoraggiante. La lettura è un’attività che ognunə porta avanti con i propri tempi e inclinazioni personali, procedendo al proprio passo e cercando libri che trattino argomenti congeniali alle proprie aree di interesse. Ma quando bastano appena le dita di una mano a tenere il conto delle proprie letture, allora forse leggere diventa un’attività che più che immersiva si fa dispersiva e rarefatta, qualcosa che non ha la minima incidenza sulle nostre vite e sulle nostre capacità critiche e interpretative. Seguire bene il filo di un saggio o di un romanzo demanda una soglia di attenzione più o meno alta e costante: leggere poche righe o una manciata di pagine “ogni tanto” significa perdere il senso generale, con il rischio di lasciare dei pezzi per strada o dovere andare spesso a recuperare ciò che si è dimenticato. Leggere libri diventa così un’attività sconnessa, faticosa e macchinosa, a scapito di scorrevolezza e chiarezza. Anche in uno scenario in cui le pagine vengono consumate avidamente nello spazio di poche ore o pochi giorni, il quadro resta ugualmente mesto se ci si ferma poi ad una, massimo tre, letture all’anno, diventando quasi un’attività sterile e fine a sé stessa, ma che invece dovrebbe generare la curiosità e la voglia di continuare a scoprire nuovi libri e autorə, perché leggere è come viaggiare su una ragnatela dove ad ogni un filo se ne intrecciano innumerevoli altri. La quantità non fa la qualità, ma talvolta è vero il contrario.

Mancanza di tempo, preferenza del supporto audio o audiovisivo, l’alto costo dei libri e la scarsità (o poca conoscenza) delle biblioteche nel luogo in cui si abita, iniziative come il Bonus Cultura che risultano dispersive e poco efficaci, problemi legati alla salute, predilezione per altre attività… Ciò che chiaramente latita è piuttosto una cultura della lettura, l’abitudine creata da famiglie e affetti, trasmessa – e non meramente imposta – dalla scuola in quanto attività edificante per sé e per la società tutta.


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