La scrittura di viaggio

La scrittura di viaggio

Il tema del viaggio è sempre stato caro alla letteratura: dalle epopee mitiche ai diari odeporici, fino al viaggio interiore.

21/08/2023 , tempo di lettura 3 minuti

L’umanità non ha conosciuto altro che movimento: la vita, nel suo dispiegarsi e adattarsi, ha sempre seguito l’incedere instancabile dello spostamento, fino alla sedentarietà che in ogni caso non ha mai soppresso il bisogno di migrare verso l’ignoto. 

La letteratura di viaggio nasce come esigenza di lasciare traccia dei propri spostamenti e raccontare ciò che si è visto – d’altronde, il bisogno di narrare è una delle peculiarità che più ci contraddistinguono – e in qualche modo di creare una guida, un canovaccio e mappe rudimentali da seguire per fare fronte agli ostacoli, da consegnare non solo allə viaggiatorə del domani ma anche a chi invece restava a casa, per cui diventava l’unico modo per fare un’esperienza altrimenti inimmaginabile. 

Per gran parte della storia umana, il viaggio è stato un’attività costosa che si compiva per necessità: commerciare, migrare, esplorare nuovi territori sconosciuti e svolgere missioni diplomatiche. In un mondo senza mappe precise e tantomeno servizi di geolocalizzazione e con scarse (se non nulle) opere da consultare sul tema, la scrittura diventava l’unico modo per sopperire a queste mancanze. Scrivere in viaggio serviva per annotare ciò che si trovava lungo la strada, amministrare gli approvvigionamenti e i rifornimenti, mettere ordine alle informazioni nuove: è il caso de Il Milione di Marco Polo, celeberrimo resoconto dei suoi viaggi in Asia intrapresi verso la fine del 1200; ma anche del Giornale di bordo di Cristoforo Colombo, redatto durante la sua spedizione nel 1492, di cui ci restano solo testimonianze indirette.

Sul viaggio, sotto forma di epopee odeporiche immaginate, si iniziò a scrivere ben prima: l’Epopea di Gilgamesh è il più antico ciclo poetico a trattare del tema, che riprende racconti sumeri risalenti alla fine del III millennio a.C., dove l’eroe nel suo mitico viaggio di ricerca dell’immortalità si spinge alla “fine del mondo”; ma anche l’Odissea di Omero e l’Eneide di Virgilio

Nel corso dei secoli i tipi di viaggi e di letteratura annessa presero forme differenti. Continuarono fino agli inizi del XIX secolo le spedizioni per scoprire terre nuove e inesplorate, attraversando mari e oceani; al tempo stesso, a partire dal XVIII secolo, prese piede il Grand Tour in Europa – da cui comincerà l’abitudine a recarsi verso mete conosciute per arricchire il proprio bagaglio culturale, trasformandosi poi nel turismo così come lo conosciamo – da cui nascono opere come Viaggio in Italia di Goethe


Diari e scrittura di viaggio come genere letterario

«Io sono tutta presa dalla curiosità per questo futuro incerto, dalla sensazione di essere ormai libera dagli ostacoli degli uomini; tutta presa dalla gioia di sentire che ciascun giorno, d'ora in poi, sarà nuovo, e che nessuno di essi sarà uguale all'altro; tutta presa dalla decisione di osservare, d'ora in poi, una sola regola: quella di camminare diritto davanti a me» scriveva l’esploratrice Ella Maillart, nel suo viaggio in Cina e Asia Centrale del 1935 insieme a Peter Fleming, che a sua volta riporterà un resoconto totalmente differente della medesima tratta (rispettivamente, Oasi proibite e News from Tartary). 

La letteratura di viaggio differisce dalle impersonali guide turistiche, la cui sola ragione di esistere è quella di fornire informazioni: è proprio la voce narrante – che sia quella dell’autorə o dellə personaggiə protagonista – a fare da guida imprescindibile nella lettura, la prospettiva privilegiata, la mano che accompagna lə lettorə a scoprire le tappe del racconto. Lo stile di chi scrive emerge netto e dalla sua penna si materializzano mondi, odori e colori, emozioni positive o negative, scoperte. Da un identico viaggio compiuto nello stesso periodo, la scrittura restituisce impressioni differenti. 


La letteratura come fulcro del viaggio

Deve esserci stato un momento in cui tutto nel globo era stato raggiunto e su cui era stato scritto qualcosa. I testi teorici e descrittivi dell’antropologia avevano portato alla luce il concetto di identità reso tale dalla scoperta e coscienza dell’alterità, fatta sì di differenze,  ma anche di similitudini e ricorrenze. E, insieme all’accorciamento delle distanze dovute alla globalizzazione – la diffusione di mezzi di trasporto sempre più veloci ed economici e tecnologie sempre più avanzate e alla portata di un numero crescente di persone, oltre che informazioni in tempo reale – il mercato si appropriava del turismo e il turismo creava paccottiglie trasformate in feticci dallə turistə, pronte a portarsele a casa. Il viaggio in sé viene per forza di cose svuotato del suo significato originario: non più scoperta pura di mondi altri e distanti, ma azione meccanica e relegata allo svago, un’attività come un’altra per passare il tempo. Scrivere dei luoghi dove si va diventa noioso quando questo è pura descrizione delle cose viste. 

Eppure, di viaggi si continua a scrivere e, anche grazie all’accorciamento delle distanze, lo si fa con una consapevolezza in più sul proprio etnocentrismo e sulla necessità di sospendere il giudizio nel momento in cui si varcano frontiere di qualsiasi tipo. Nel suo Cerchi infiniti, Cees Nooteboom racconta di una serie di viaggi intrapresi in Giappone a partire dal 1977, soggiorni fortemente influenzati dal suo essere occidentale e sapere di avere un’idea preconfezionata del posto. Ad accompagnare lo scrittore c’è soprattutto la letteratura di alcuni grandi classici giapponesi che Nooteboom porta con sé, legge e rilegge, confrontando le parole lette con ciò di cui fa esperienza dal vivo.

La letteratura di viaggio diventa un mezzo per compiere esplorazioni altre mentre ci si sposta di luogo in luogo; più che i chilometri accumulati e i passi giornalieri, diventano interessanti le sensazioni e le idee, le mutazioni e gli spostamenti interiori. Sulla strada, manifesto della Beat Generation americana di Jack Kerouac, racconta in chiave romanzata l’esperienza di vagabondaggio negli USA dello scrittore, in cui il viaggio diventa soprattutto una ricerca. I vagabondi di Olga Tokarczuk – libro del 2018 vincitore del Man Booker International Prize grazie al quale riceverà il Premio Nobel per la letteratura – è un esempio di costellazione di storie, avventure, incontri, aneddoti, riflessioni sul viaggio inteso come movimento erratico, libero, fluido dell’esistenza umana, che ci porta in posti ed epoche lontane fra loro, fin negli aeroporti che tuttavia non sono meno degli altri luoghi e sono anzi questi ultimi ad essere dipinti – anch’essi senza distinzione – come “non luoghi”.

La letteratura di viaggio è essa stessa un viaggio fatto di miriadi di tappe differenti. Dagli albori dell’umanità si scrive dei luoghi in cui si va: appunti e annotazioni, mappe, scarabocchi e vecchi biglietti diventano le coordinate per ricordarci del nostro passaggio. Il viaggio – verso luoghi lontani o interiori – è senso di estraneità, appartenenza, vagabondaggio, saudade, ricerca, fuga. È un tempo in cui la vita continua e non va in vacanza perché – riprendendo le parole di Olga Tokarczuk - «la fluidità, la mobilità, l'illusione: sono queste le qualità che ci rendono civilizzati. I barbari non viaggiano. Vanno semplicemente a destinazione o fanno razzie».


Al ritorno dai nostri viaggi, ce n’è un altro ad aspettarci: il corso di scrittura creativa insieme a Marco Marsullo, per trovare il proprio stile e mettere in ordine le idee raccolte per strada e narrare storie incredibili.

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