Per essere creativi bisogna avere coraggio, dice Oliviero Toscani

Per essere creativi bisogna avere coraggio, dice Oliviero Toscani

Avere creatività significa sperimentare qualcosa che non è mai stato fatto, saper rischiare e sfidare il conformismo – spiega il fotografo. È un surplus di energia, intelligenza e di sensibilità

30/05/2021 , tempo di lettura 6 minuti

La creatività è un surplus di energia, intelligenza e di sensibilità, è quell’energia che sta fra il cuore e il cervello. È genesi, nascita, forza divina, fantasia, sofferenza, impegno, fede, generosità. La creatività deve essere visionaria, sovversiva, disturbante. Deve essere innovatrice, deve spingere idee e concetti, deve mettere in discussione stereotipi e vecchi moduli. La creatività ha bisogno di energia e di coraggio.


Sono pochi gli individui dotati di questa energia poiché l’educazione – da quella familiare a quella scolastica, religiosa, etica – contribuisce a frenare l’energia creatrice che c’è in ognuno di noi. I veri creativi sono pochi, una minoranza esigua, schiacciata dai falsi 
creativi. Soltanto i creativi veri non hanno paura della creatività, tutti gli altri la temono e la combattono, perché si rendono conto che la creatività forma le idee nuove, con le quali anche coloro che non sono creativi dovranno, prima o poi, confrontarsi.


L’esercito dei non creativi è enorme: uno stuolo di burocrati che, in forza della posizione di potere che ricoprono, si arrogano il diritto di bloccare i processi creativi. Sono lì per livellare verso la mediocrità qualunque idea non sia abbastanza stupida da mettere tutti d’accordo: così i giornali sono tutti uguali, le automobili si assomigliano tutte, i programmi televisivi sono intercambiabili, le marche dei vestiti sono dello stesso stile.

Le ricerche di mercato contribuiscono a definire il cosiddetto target pronto a recepire la mediocrità e altrettanto pronto a respingere, secondo l’opinione dei ricercatori, le innovazioni e le idee. Ma la mancanza di creatività produce degrado. Se guardiamo l’Italia di oggi, l’unico valore che resta è quello legato alle opere del passato: l’architettura, l’arte, la musica, la letteratura dei secoli scorsi. Opere coraggiose che oggi nessuno commissionerebbe mai. Mai un’amministrazione consentirebbe di costruire una città sull’acqua come Venezia, mai si ripeterebbe una Piazza dei Miracoli, mai un campanile di Giotto.


Il potere, con la sua mancanza di cultura, del coraggio di investire, è il vero sintomo rivelatore della morte della creatività. Il paradosso è tale che, ironia della sorte, i creativi devono costantemente difendersi dai burocrati del potere, i quali non devono mai giustificarsi per la loro mancanza di creatività e di coraggio, anzi, sembrano identificarsi nel ruolo degli accusatori e dei censori, e solo in quello.


In passato, la fortuna dei grandi imprenditori, degli statisti, dei padri della Chiesa è stata sempre legata a uomini creativi e visionari, capaci di spingersi con la forza della creatività nella meravigliosa avventura della ricerca, della scoperta, della conquista, usando trasgressione e provocazione – forze che appartengono all’arte – facendo della diversità un valore contro l’omologazione.


L’arte è la più alta espressione della comunicazione. E per arte non intendo più solamente la pittura, scultura o le arti antiche e tradizionali, ma soprattutto le arti moderne, come la fotografia, il design, l’architettura, il cinema.


La comunicazione, come l’arte, è sempre stata al servizio di un potere: religioso, politico, industriale. Oggi c’è un grande scollamento tra chi crede nel valore creativo della comunicazione e le aziende con i Ioro comitati e consigli di amministrazione, con i loro direttori marketing, con i loro burocrati e funzionari, persone che non spendono una parola e non muovono un dito se non hanno prima consultato le ricerche di mercato, dove tutto è già definito, tra audience, gradimento, percentuali. Persone che pretendono di capire i bisogni della gente, di quell’umanità che loro chiamano semplicemente i consumatori.


La creatività nel modo della comunicazione è condizionata da una ricerca ossessiva del consenso, credendo erroneamente che corrisponda al successo. Ma la paura di osare produce sempre mediocrità, poiché la soluzione scelta sarà sempre la meno rischiosa e la più banale. La maggior parte della comunicazione delle aziende non vuole essere originale, ma una mediocre e continua copia di se stessa. È stata spogliata delle idee, delle passioni individuali, è stata relegata a essere portatrice di strategie concentrate solamente a far rialzare i titoli in Borsa.


I creativi nel mondo della comunicazione ormai sono condannati a servire e lavorare per la finanza, mentre i concetti, le idee e le sceneggiature della comunicazione vengono pensati e decisi da specialisti e direttori marketing, da ricerche di mercato e stuoli di manager che determinano se il risultato è abbastanza banale e stupido per soddisfare quel pubblico che loro chiamano target. E questi manager si basano sui like dei social, ascoltano i verdetti dell’auditel e non la creatività. Così la comunicazione è stupida, piatta, costosa, ripetitiva e inutile. In una parola: mediocre.


Oggi la comunicazione si nutre dalle persone che invece dovrebbe nutrire. All’origine avrebbe dovuto essere un servizio pubblico, la voce della cultura, della produzione e del consumo, ed è degenerata invece in uno strumento di manipolazione economica. Gli intellettuali, i creativi e gli artisti che producono comunicazione costituiscono loro stessi un esercito di collaborazionisti, perché pensano di doversi adeguare al conformismo per poter lavorare.

Paradossalmente l’artista che si aggrappa alle sue ragioni, alla sua sensibilità, alle sue ispirazioni, alle sue visioni basate sull’insicurezza - condizione essenziale per produrre creatività - rischia di passare da narciso e da isterico, perfino da presuntuoso. Il futuro dovrebbe concedere agli artisti potere e responsabilità nel mondo della comunicazione, e dare la possibilità ai creativi di sovvertire i codici legati alla mercificazione, e incoraggiare un pensiero libero.


Non è mai stato nell’interesse del marketing che i consumatori siano capaci di pensare, perché chi pensa può essere creativo e la creatività è sempre sovversiva, e, in quanto tale, è destinata a restar fuori dagli schemi precostruiti e dalle autorizzazioni burocratiche, salvo rare eccezioni in cui incontra un mecenate o un’istituzione intelligente.


Essere creativi vuol dire non avere certezze, vuol dire fare il contrario di ciò che ogni sistema prestabilito pretende. Avere creatività significa sperimentare qualcosa che non è mai stato fatto, costruire dal nulla qualcosa che avrà un valore enorme, e saper rischiare. La creatività esige uno stato di non controllo, di coraggio totale: per questo il conformismo resta il suo primo nemico.


La creatività è un surplus di energia, intelligenza e di sensibilità, e il nostro spirito ne ha un bisogno vitale.

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