Scripta manent: testimonianze di amori lesbici irriducibili

Scripta manent: testimonianze di amori lesbici irriducibili

Le pagine sono vive perché continuano a parlarci, consegnandoci identità e sessualità non conformi, desideri immaginati, esplorati, disattesi, comunque esistiti: ancora oggi leggiamo Emily Dickinson, Virginia Woolf, Simone de Beauvoir e Violette Leduc.

05/07/2023 , tempo di lettura 5 minuti

Prima dei moti di Stonewall, essere diversə poteva costare il carcere, l’umiliazione pubblica, il rifiuto sociale, il disconoscimento famigliare, la solitudine. Ciononostante, ci sono sentimenti che per quanto rischiosi furono ugualmente impressi sulla carta – spesso destinati a restare privati, altre volte manifesti – e che per questo abbiamo potuto e possiamo continuare a leggere, prendendo coscienza di identità e amori che ci precedono ma che, ancora, ci accompagnano.

Poesie censurate, lettere immortali: milioni di parole per Susan Gilbert 

Emily Dickinson amò Susan Gilbert per tutta la vita e non poté fare a meno di scriverle, fino alla fine. Nelle sue lettere riscopriamo i resti di un amore frustrato, pagine e pagine in cui si alternano momenti di intensissimo desiderio ad altri di disperata consapevolezza di non poter portare alla luce del sole un sentimento altrimenti irriducibile:

“Se tu fossi qui, Oh se solo fossi qui, mia Susie, non avremmo affatto bisogno di parlare, gli occhi sussurrerebbero per noi, e la tua mano salda nella mia, non dovremmo ricorrere alle parole - cerco di portarti più vicina, […] il mio cuore corre talmente veloce, che fatico a riportarlo indietro, e a insegnargli a essere paziente, fino a quando la cara Susie arriverà… Fino ad ora, non ho avuto che rimpianto per te; ora inizio ad avere speranza di te.”

Speranza che rimarrà disattesa – senza tuttavia decadere  – quando Dickinson prende coscienza dell’asimmetria dei loro sentimenti, comunque espressi nelle poesie e lettere. A Susan dedicherà infatti 276 poesie, pubblicate in raccolte postume, di cui solamente 7 riportano il suo nome, deliberatamente eliminato dal testo in seguito ad un lavoro di pesante manomissione.

Se censurare una dedica in un testo poetico è un’operazione deprecabile ma semplice, manomettere delle lettere significherebbe snaturarle fino a renderle carta straccia. Le lettere che Emily Dickinson scrisse a Susan Gilbert ci arrivano intatte, consegnandoci la frustrazione di vivere di nascosto un amore non accettato e non accettabile, ma anche il bisogno di renderlo manifesto “normalizzandolo” attraverso degli espedienti, come l’uso di pronomi maschili nel riferirsi a sé stessa o a Susan. Quando Dickinson scriveva “Amputate my freckled Bosom! Make me bearded like a Man!” sapeva che se solo fosse stata un uomo tutto sarebbe stato differente: declinandosi al maschile, la sua identità subiva una trasformazione e i suoi sentimenti acquistavano legittimità rientrando nel comodo e rassicurante schema binario uomo-donna che, se oggi inizia a starci stretto, all’epoca risultava insormontabile.

Virginia, Vita, Orlando

Da Amherst andiamo in Inghilterra, in un periodo in cui solamente le relazioni omosessuali fra uomini erano considerate reato penale, mentre quelle fra donne restavano sospese in una zona grigia: una proposta di legge del 1921 tentò di regolarne gli “atti sessuali di grave indecenza”, ma si preferì non approvarla per evitare di incoraggiare le donne a esplorare sessualità “non convenzionali”. È in questo tipo di società che Virginia Woolf e Vita Sackville-West intrapresero una relazione intensissima  – anche qui fatta di un assiduo scambio epistolare – vissuta con una discreta libertà sebbene entrambe fossero sposate e le relazioni omoerotiche costituissero un oltraggio alla morale. Nessuna delle due era disposta ad accontentarsi di vivere i propri desideri entro una zona grigia: entrambe colte, entrambe scrittrici (Woolf anche attivista) e attente osservatrici delle storture del mondo, non erano fatte per adattarsi con facilità al buon costume e uscire fuori dall’armadio era una necessità. 

Nel 1928, agli sgoccioli della loro storia – ma non dei loro rapporti -, Virginia Woolf scrisse Orlando, ritratto complesso di Vita vista con gli occhi di Virginia, che giunse a domandarsi se ella fosse esistita davvero o invece fosse stato tutto frutto della sua ammirazione e sentimento, dell’idealizzazione che si fa della persona amata e agognata. Orlando è una storia queer che parla di identità, libertà, sessualità e discriminazioni di genere. Orlando, nobile inglese, si risveglia un giorno nel corpo di una donna, in cui vivrà per due secoli. Cambiando sesso è costretto a vivere come una donna – scoprendo a sue spese che se l’uomo nella società ha potere, la donna ne è sostanzialmente priva - e a spogliarsi dei privilegi di cui prima godeva, rinunciando all’eredità che lə sarebbe spettata e obbligatə a sposarsi. Vita Sackville-West, frustrata dal fatto di essere una donna e non poter ereditare le fortune di famiglia, era considerata un personaggio eccentrico per l’epoca: indossava spesso vestiti di foggia maschile, scriveva, viaggiava, soprattutto desiderava e corteggiava altre donne, talvolta fuggendoci insieme. Viveva, insomma, prendendosi libertà che normalmente non avrebbe potuto avere, quasi che non le dovessero appartenere per il solo fatto di essere una donna. 

Il “secondo” amore di Simone de Beauvoir 

Ci sono poi libri che hanno visto la luce solo postumi, come nel caso de Le Inseparabili di Simone de Beauvoir, pronto per essere pubblicato nel 1954, ma lasciato inedito sotto consiglio di Sartre e riesumato ed edito solo nel 2020

Lasciandosi aiutare dal velo di finzione letteraria del romanzo, de Beauvoir mette in scena la storia di desiderio mai realizzato fra Sylvie (alter-ego di sé stessa) e Andrée (ossia Zazà, sua carissima e amata amica d’infanzia). Finzione e realtà si compenetrano: la storia ci suona familiare perché altro non è che la versione romanzata ma non censurata delle annotazioni autobiografiche de Memorie di una ragazza per bene in cui leggiamo: “[…] Ma c'era quella madre, e tutta quella famiglia, tra noi due, e forse un giorno ella si sarebbe rinnegata, e l'avrei perduta; per il momento, comunque, era fuori della mia portata. Provai un dolore così acuto che mi alzai, uscii dal salotto, e andai a letto in lacrime. La porta si aprì, Zazà si avvicinò al mio letto, si chinò su di me e mi baciò. La nostra amicizia era stata sempre così severa che il suo gesto mi sconvolse di gioia.”

Sylvie/Simone ama Andrée/Zazà, ma questo amore non può concretizzarsi, non può essere vissuto liberamente, ed è anzi ostacolato dall’educazione cattolica di Andrée/Zazà, dalla madre di lei che non vedendo di buon occhio la loro frequentazione in età adulta impone alla figlia una rarefazione nelle sue uscite e diversi esili temporanei all’estero. Ma le due sono inseparabili e il bisogno che hanno l’una dell’altra è fisico e non meramente platonico come sembrerebbe. Un’amicizia che solo amicizia non è ma che è impossibilitata a trasformarsi in altro: un amore decantato a bassa voce, vissuto come “secondario” rispetto a quello eterosessuale, così come secondario era il secondo sesso.

I libri “impresentabili” di Violette Leduc 

Contemporanea a Simone de Beauvoir ma di tutt’altra pasta è Violette Leduc: apertamente lesbica, talvolta invaghita di uomini omosessuali o di donne che quasi mai la corrisposero, come nel caso della stessa de Beauvoir, che la prese sotto la sua ala protettrice permettendole di dedicarsi completamente alla scrittura. Il suo libro più celebre, che la consacrò al successo, è La Bastarda, opera autobiografica che inglobò – in una versione tagliata e modificata - alcuni dei passaggi più controversi dei suoi scritti, precedentemente rifiutati. Dall’esperienza del collegio, in cui Leduc scoprì la sua sessualità, si ispirerà per scrivere nel 1954 Thérèse e Isabelle, che la casa editrice di Sartre e de Beauvoir giudicherà troppo esplicito, scandaloso e dunque “impresentabile” al pubblico, bocciandone la pubblicazione. Dieci anni più tardi, alcune delle pagine del libro furono inserite in La Bastarda ma, solo nel 2000, il testo verrà pubblicato nella sua versione originale. 

Leduc visse la censura ai suoi scritti e il rifiuto di Thérèse e Isabelle come una mutilazione verso la sua persona, perché scrittura e vita furono per lei due elementi inscindibili: come nelle esperienze fatte, anche nei suoi scritti Leduc mostra l’amore e il sesso tra donne per quello che è, crudo e autentico, avendo cura di non tralasciarne la clandestinità, il senso di abbandono e la solitudine conseguenti. 

Scrivere ieri per manifestare oggi

Trovare spazio di rappresentazione nella letteratura significa acquisire libertà anche al di fuori della pagina, nella società, nelle piazze della città dove oggi si può manifestare per reclamare diritti e affermare esistenze. Se possiamo farlo è anche grazie a Orlando, Thérèse e Isabelle, Le Inseparabili, e alle centinaia di lettere riesumate dall’armadio, scritti nonostante fossero tempi in cui le relazioni lesbiche restavano invisibili e le donne avevano necessità di mantenere un profilo basso in quanto prive di una stanza tutta per sé. Questo perché scrivere è un bisogno imprescindibile che trascende immaginazione e realtà, travalica confini e trasforma desideri autentici in scritti incredibili. Leggere diventa così un atto sovversivo perché la parola assorbita dona una libertà da cui è impossibile tornare indietro

Ancora oggi le opere di Dickinson, Woolf, de Beauvoir e Leduc sono rivoluzionarie, a tratti scandalose per chi è incapace di adattarsi ai tempi che – per fortuna – cambiano, e da cui continuiamo a prendere in prestito elementi per costruire riflessioni su binarismo di genere, fluidità, bisessualità, pansessualismo, relazioni non monogame e, in generale, identità e sessualità.


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