Il Medio Oriente raccontato da Gad Lerner

“Se non conosci la Storia, non puoi capire”: il Medio Oriente raccontato da Gad Lerner

Intervista a Gad Lerner sulle sue Lezioni d'Autore dedicate alla storia del Medio Oriente tra religione, politica e trasformazioni sociali. Un viaggio in Galilea, Libano e nel Golfo Persico dove il fanatismo convive con la modernità.

10/11/2021 , tempo di lettura 3 minuti

Giornalista, saggista, conduttore televisivo. Gad Lerner ha scritto per i maggiori quotidiani italiani ed è fra i cronisti politici più noti del Paese. Nato a Beirut, in Libano, da una famiglia ebraica stabilitasi in Palestina sin dalla prima fondazione dello Stato di Israele, cresce a Milano fin dall’età di tre anni. 

Nelle sue Lezioni d’Autore – Breve corso di storia del Medio Oriente – ci conduce in un viaggio attraverso un’area considerata per definizione problematica, geograficamente vicinissima eppure percepita altrettanto distante dal punto di vista culturale. Il Medio Oriente sempre al centro della nostra cronaca ma di cui spesso in Occidente si ignorano la Storia, le storie e la complessità che le tiene insieme, determinandone il presente e condizionandone il futuro. Grazie alla sua esperienza personale e al suo sguardo di cronista, Lerner ci guida in un percorso tra politica, trasformazioni sociali e religioni per comprendere la Galilea, il Libano e il Golfo Persico. 

Partiamo da una citazione delle tue lezioni: “Ciò che mi ha spinto nella città santa di Safad è stata la volontà di rintracciare il perché di questa aspettativa di salvezza che muove le moltitudini e genera fanatismi nel mondo cristiano, ebraico e islamico”. Questi sono i temi al centro delle tue lezioni: perché li hai scelti?

Perché sono un cittadino delle due sponde del Mediterraneo, nato da quella parte del mare e oggi pienamente cittadino di quest’altra sponda europea che è l’Italia. Sono figlio di migrazioni e all’interno dello stesso Medio Oriente esistono confini tra territori vicinissimi tra loro. Penso alla città di Beirut, dove sono nato, da cui per raggiungere la Galilea e la città di Safad in particolare - culla della Cabbala e della mistica ebraica - ci vorrà al massimo un’ora di macchina, solo perché non c’è l’autostrada fra l’altro, eppure sembra esserci un confine invalicabile. 

Spero che nei racconti che ho fatto si scopra che si somigliano più di quanto si creda, e non soltanto nel fanatismo ma anche in quell’oriente mistico che ha portato a scuole di pensiero straordinarie. La Galilea, non a caso, si può considerare la terra dei messia: in tanti dopo Gesù Cristo, hanno cercato in mezzo a quelle rocce e quella natura meravigliosa le origini della vita, l’introspezione, la comprensione dell’uomo. Tutto questo, ahimè, si traduce anche in ideologia, fanatismo e politica.

Basti ricordare i risultati delle recenti elezioni politiche israeliane per capire che si tratta di una terra che può declinare il concetto di messia anche come presagio di guerra e contrapposizione totale.

Quali sono i fanatismi che ti fanno più paura oggi nel rapporto tra Occidente e Medio Oriente? In particolare, per quanto riguarda la cultura ebraica, che affronti nella tua prima lezione. 

Siamo abituati a pensare a una coincidenza assoluta tra fanatismo e integralismo islamico. 

In realtà, la faccenda è molto più complicata. Perché il Medio Oriente è insanguinato soprattutto da lotte interne all’Islam: una lotta senza esclusioni di colpi fra correnti sunnite e sciite. Persino le ultime missioni diplomatiche, gli Accordi di Abramo tra Israele e le petrol-monarchie del Golfo, che sembrerebbero aprire uno spiraglio di pace tra ebrei e musulmani, tra i custodi della Mecca e di Gerusalemme, nascondono in verità un patto militare, tecnologico, economico che vuole contrapporsi a un altro Islam, quello sciita; quello dell’antica Persia, diventata Iran e poi Repubblica islamica antimperialista e antioccidentale, con tutte le ambiguità di un oscurantismo che si presenta come rivoluzionario. 

Quando mi trovavo a Safad, in Galilea, respiravo l’atmosfera messianica che considerava questi conflitti come qualcosa di positivo, il segno del manifestarsi della fine dei tempi e della resurrezione dei morti. Non si tratta di semplici superstizioni. Del resto, l’umanità ha sempre avuto bisogno di dare risposte alle sofferenze della vita e a questo bisogno di emancipazione sociale e politica si è spesso accompagnata un’aspirazione rivoluzionaria alla possibilità di cambiare tutto. In Medio Oriente, questo bisogno corre lungo i crinali delle religioni, diventate ideologie. 

Così, a pochi chilometri dalla Galilea ho gli Hezbollah, mentre Safad è il centro dell’ortodossia ebraica. Nella stessa leadership di Israele c’è stato questo passaggio, che è ancora in essere. I fondatori socialisti dello Stato erano atei e agirono contro la tradizione rabbinica, che anzi considerava sacrilego costruire uno Stato ebraico prima che la volontà divina lo permettesse. Adesso, invece, il sionismo è diventato religioso, l’occupazione dei territori palestinesi viene giustificata attraverso la lettura della Bibbia e dopo il laico Netanyahu vediamo affacciarsi figure, su tutte Naftali Bennett, che affiancano modernità e ortodossia, sostengono new economy e tecnologie e allo stesso tempo separazione netta fra arabi ed ebrei, divieto di matrimoni misti, rivendicazione della natura etnica dello Stato e lotta alla corruzione dei costumi, come nel caso di Tel Aviv, diventata fra le città più gay friendly al mondo. 

L’Arabia Saudita è finita su tutti i giornali italiani in occasione della visita di Matteo Renzi. Contemporaneamente usciva in Italia il documentario “The Dissident”, che fotografa una monarchia che si regge sui principi lontani dalla civiltà occidentale ma alleata degli Stati Uniti per evidenti ragioni economiche. Come vedi questo connubio tra democrazie occidentali e tra regimi che democratici non sono ma che sono sempre più vicini a noi?

Vicinanza fa rima con finanza: la risposta è tutta lì. 

Quando una dinastia tribale – i Sa’ud, una tribù nomade di una delle regioni più inospitali del pianeta – custodisce il luogo santo di una religione mondiale e poi nello stesso luogo trova l’oro nero, diventando una potenza economica e assumendo un ruolo determinante nella finanza mondiale, questo crea un impasto di estrema modernità e oscurantismo. Per cui si può contemporaneamente vietare alle donne di guidare l’auto e importare le tecnologie più avanzate, sostenere l’Islam più reazionario e wahabita contro la musica e le immagini e allestire mostre di arte contemporanea. 

Il mio timore è che il capitalismo finanziario occidentale scopra laggiù che tutto sommato si possa fare a meno della democrazia, che si può guadagnare più in fretta e muoversi più facilmente. D’altro canto, sono anche luoghi in cui gli immigrati costituiscono la maggioranza della manodopera. A Dubai, per esempio, abitano 300mila cittadini locali molto benestanti e un milione e mezzo di lavoratori ridotti in condizioni semi-schiavistiche: non vorrei diventasse un modello.

Per continuare a ripercorrere la cronaca dell’ultimo anno, che valenza hai dato alla visita di Papa Francesco in Iraq?

Come spesso fa Bergoglio, è andato a rompere le uova nel paniere a chi che pensava che la diplomazia fosse un’esclusiva dei detentori della superiorità tecnologica e militare. Il Papa è andato a incontrare il leader dell’Islam sciita, colui che è stato isolato dagli Accordi di Abramo. Un incontro complicato, perché anche l’islam sciita è oscurantista pur avendo in Iran una società civile più stratificata e plurale, e un incontro parziale, perché mancavano gli ebrei e non è un dettaglio da poco. Il tutto nella città di Ur, che secondo la tradizione biblica è il luogo da cui Abramo sarebbe partito su incarico di Dio per fondare la fede monoteista.

In ogni caso, ha dato un’indicazione precisa: non illudetevi che la pace possa essere imposta solo dall’alto, senza affrontare la questione palestinese, la convivenza con l’Iran e la fine del conflitto in Siria.  

Le tue lezioni sono un percorso nella storia del Medio Oriente, dall’identità culturale di quei luoghi e alla storia delle religioni. Secondo te perché abbiamo bisogno della Storia?

Rispondo da giornalista. Tu puoi andare di persona nei posti ed è fondamentale vedere, entrare in relazione, cercare di mettersi nei panni degli altri ma se non hai studiato la storia, se non ti sei documentato prima, non puoi capire nulla. Il mero testimone può riportare solo impressioni molto superficiali, mentre ciò che davvero ci manca in Occidente è la comprensione problema di quello che viene dall’altra sponda del Mediterraneo.

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