Sono le competenze la chiave del successo del Recovery Plan

Sono le competenze la chiave del successo del Recovery Plan

Perché gli investimenti green e digitali possano creare crescita e occupazione sostenibili, occorrerà aggiornare le competenze in ogni settore. Dal turismo alla cultura, dall’agricoltura alla manifattura

15/07/2021 , tempo di lettura 8 minuti

“Reagire all’emergenza e costruire soluzioni sostenibili per il futuro richiede capacità e risorse propriamente umane e in primo luogo tutte le competenze – di base, trasversali, sociali, scientifiche e imprenditoriali – necessarie per affrontare l’incertezza e creare opportunità dalle nuove tecnologie, dall’allargamento degli scambi internazionali, così come dal vasto patrimonio di beni culturali e naturali di cui l’Italia dispone”.

È l’incipit dell’appello sottoscritto da esperti di diversi enti – da Indire a Inapp – in una lettera aperta inviata al governo italiano in vista della realizzazione del Recovery Plan per il rilancio del Paese dopo lo shock della pandemia. Lo scopo, dicono gli esperti che hanno firmato l’appello, deve essere quello di centrare “entro il 2025 l’obiettivo europeo del 50% di adulti che partecipano in attività formative almeno una volta ogni 12 mesi”.


Secondo le stime della Commissione europea, l’Italia ad oggi è il Paese che creerebbe meno occupazione rispetto agli investimenti programmati nel Recovery Plan: si prevedono 240mila nuovi posti, pari a 1,3 posti per ogni milione investito. Gli altri Paesi hanno moltiplicatori molto più elevati. Il motivo? Una spiegazione avanzata dagli economisti è che non è detto che gli investimenti green e digitali creino occupazione in Italia, visto che non abbiamo una specializzazione produttiva in materia. E soprattutto, mancano le competenze giuste.


Ma perché i fondi in arrivo dall’Europa possano creare crescita e occupazione sostenibili, occorrerà aggiornare le competenze in ogni settore. Dal turismo alla cultura, dall’agricoltura alla manifattura. Non solo nelle professioni specializzate, ma in tutte le mansioni. Da quelle meno qualificate a quelle high skill. Le competenze, ha detto la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, “sono l’infrastruttura di cui l’Italia più bisogno”.

La situazione italiana

Oggi in Italia quasi 13 milioni gli adulti hanno un titolo di studio inferiore al diploma secondario. Se inoltre consideriamo il bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale, la quota di popolazione che necessita di aggiornare le proprie competenze è stimata tra il 50-60% del totale.


La pandemia, inoltre, non ha fatto che altro che rendere ancora più fragile una situazione già debole in partenza. Come rivelano i risultati degli ultimi test Invalsi somministrati nelle scuole italiane, dopo quasi due anni a singhiozzo tra i banchi e la didattica a distanza, le competenze degli studenti italiani hanno fatto molti passi indietro. “Molti dei nostri ragazzi rischiano di non avere la preparazione minima per le funzioni necessarie a questo Paese. Ne abbiamo contati 40.000”, ha spiegato il direttore generale Invalsi Roberto Ricci.


Inoltre, secondo il rapporto di Save the Children sulla “Povertà educativa digitale in Italia”, ben il 29,3% dei ragazzi italiani, quasi uno su tre, non è in grado di scaricare un file da una piattaforma della scuola. Non solo: il 32,8% non sa utilizzare un browser per l’attività didattica e l’11% non è capace di condividere uno schermo durante una chiamata con Zoom. I risultati indicano che un quinto dei ragazzi (il 22% contro il 17% delle ragazze) non è in grado di rispondere correttamente a più della metà delle domande proposte per valutare le competenze sugli strumenti digitali, né tantomeno eseguire semplici operazioni.


E in base all’indice Desi, Digital Economy and Society Index, il 58% degli italiani non possiede le competenze digitali almeno di base. Nello specifico: più di 11 milioni di Italiani da 16 a 74 anni non sono in Rete e 15 milioni sono utenti di Internet, ma avendo competenze basse o nulle.


Come ha fatto notare il nuovo “Rapporto sull’economia globale e l’Italia” del Centro Studi Luigi Einaudi, troppe categorie di lavoratori risultano ancora sprovviste delle competenze digitali e green necessarie a trovare nuovamente un lavoro dopo lo shock del Covi-19. Da un lato la digitalizzazione e dall’altro le nuove competenze richieste dal mondo post-Covid, rischierebbero dunque di escludere dal mercato del lavoro milioni di italiani.


Le competenze che servono

La pandemia, intanto, ha accelerato il processo di digitalizzazione nel business e nel lavoro. Così come la spinta a una economia maggiormente sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Non è un caso che gli assi portanti del programma europeo Next Generation Eu, così come del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, siano due: transizione digitale e transizione ecologica. Su questi due pilastri si muoveranno gli investimenti in Italia, pari a 190 miliardi di euro tra sussidi e prestiti. Ed è in questi ambiti che nasceranno nuovi posti di lavoro, sia nel pubblico sia in quello privato. Nuova occupazione che, come emerge già dalla domanda di lavoro emersa negli ultimi mesi, richiederà competenze aggiornate.


L’urgenza di sopravvivere ha indotto le aziende italiane a una digitalizzazione forzata durante la pandemia, ma senza competenze questa non si trasformerà in una crescita strutturata in parallelo con il Recovery. Le imprese avranno bisogno di riqualificare le risorse già presenti, ma anche di assumerne di nuove che rispondono ai nuovi bisogni del mercato.


Il Pnrr prevede investimenti nella innovazione della pubblica amministrazione, digitalizzazione dei processi e transizione 4.0. E nello stesso tempo punta sugli investimenti nelle competenze specifiche per realizzare questi processi. In parallelo, l’impegno nella transizione verde favorirà lo sviluppo di opportunità occupazioni nelle attività legate alle energie rinnovabili, economia circolare e mobilità sostenibile.


Serviranno quindi competenze tecnologiche, di data analysis e It, ma anche green skill. Non solo per le figure specializzate legate ai settori digitali e verdi. A ogni lavoratore – a prescindere dal profilo occupazionale – sarà richiesta una maggiore conoscenza in chiave digitale e di sostenibilità


Secondo le previsioni di Unioncamere, i fabbisogni occupazionali previsti nel periodo 2021-2025 ammonteranno a oltre 3,5 milioni di posti di lavoro. Solo nel settore “commercio e turismo”, serviranno oltre 500mila nuove figure. Nell’ambito “formazione e cultura”, tra 453mila e 492mila. La filiera “mobilità e logistica” potrà avere bisogno di 188mila occupati nel quinquennio. Quella “meccatronica e robotica” tra 173mila e 184mila occupati. Nel settore “informatica e telecomunicazioni”, la previsione è di 123-137mila posti di lavoro da occupare. Nel settore “agroalimentare” fino a 72mila.


Mentre l’incidenza di figure a cui sarà richiesta nel prossimo quinquennio un’attitudine green va dal 59% per i lavori a media-bassa qualifica al 64% per altamente qualificate. E solo nella pubblica amministrazione saranno richieste tra 2,2 e 2,4 milioni di lavoratori in possesso di competenze green.


Le competenze per il settore culturale

Come abbiamo scrittoanche i professionisti che lavorano con il patrimonio culturale hanno davanti a sé le nuove sfide della sostenibilità e della transizione digitale. 

Oggi, nel 76% dei musei italiani non esiste un piano strategico per l’innovazione digitale. L’emergenza sanitaria ha spinto però verso un cambio di paradigma della programmazione, delle strategia e delle competenze. E molti poli culturali si sono aperti a tour virtuali e modalità di fruizione digitale. Ora, bisogna spingere in questa direzione.  

Ma quali figure servono? Economisti della cultura, esperti di diritto – dai contratti e ai copyrihgt digitali – ingeneri delle piattaforme web, digital user experience developer e game designer, digital marketing manager, esperti di audience development e di sicurezza, customer care e data analist saranno utili per costruire nuovi modelli di sostenibilità. 

Il tutto attraverso l’aggiornamento delle competenze di chi lavora nei poli culturali italiani e l’inserimento di nuovi profili. Secondo Alessandra Vittorini, presidente della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali, con il Recovery Plan questo salto in avanti ora può diventare realtà: “Il Next Generation Eu, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, insieme al bilancio a lungo termine, costituisce il più ingente pacchetto di misure mai finanziato dall’Unione europea e pone tra i suoi obiettivi strategici proprio quello dell’aggiornamento delle competenze. Anche per quanto attiene alla parte italiana, il Recovery Plan ha tra le sue priorità il tema della riforma della pubblica amministrazione. Dunque se un ammodernamento delle metodologie di reclutamento e di valutazione dei bisogni prima era necessario, credo che oggi sia anche possibile”.


Non si smette mai di imparare

Questo processo, però, va visto in un’ottica di aggiornamento continuo, in un mercato in rapida evoluzione dove non solo la tecnologia ma anche le competenze hanno un periodo di obsolescenza sempre più ridotto.


Secondo il rapporto Skills Outlook 2021 dell’Ocse, la formazione continua sarà infatti la chiave per abilitare gli individui ad apprendere le competenze necessarie ad affrontare i cambiamenti economici, lavorativi, climatici e demografici che stanno trasformando le società.

Già da un decennio, spiegano gli economisti nel rapporto, la formazione continua viene considerata essenziale per navigare in un mondo del lavoro in rapido cambiamento. Ma la pandemia, e la crisi conseguente, hanno ulteriormente accelerato questi trend, stravolgendo equilibri socio-economici e modificando le competenze richieste ai lavoratori, mentre le skill apprese nel contesto dell’istruzione formale o di un lavoro diventano obsolete più rapidamente.

Di conseguenza, i lavoratori devono aggiornare ed espandere continuamente le loro competenze per adattarsi e, magari, anticipare gli sviluppi tecnologici. In quest’ottica, sottolinea il rapporto, occorre cambiare il concetto di formazione, passando da un processo a “compartimenti”, articolato in diverse fasi, a un processo che dura lungo tutta la vita dell’individuo. Un percorso che inizia fin dall’infanzia, con il supporto di scuola e famiglia, e che continua anche nell’età adulta.

Solo con l’“infrastruttura” delle competenze adatte a far funzionare e camminare la macchina del Recovery Plan, la crescita economica potrà avere lunga durata. E la Next Generation italiana potrà così beneficiare dei fondi in arrivo da Bruxelles. Altrimenti, sarà solo una fiammata sul Pil.

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