Chez Panisse e la politica delle scelte alimentari

Alice Waters: Chez Panisse e la politica delle scelte alimentari

Scopriamo di più sulla cucina pioneristica di Alice Waters, attivista schierata dalla parte della consapevolezza alimentare e della coltivazione biologica.

09/09/2022 , tempo di lettura 10 minuti

«Se l’avocado is the new cheesburger lo si deve a questa signora incantevole come il suo nome, Alice Waters». Così scrive Michele Masneri nel suo ultimo libro “Steve Jobs non abita più qui” (Adelphi), in un intreccio di racconti sul volto della nuova Silicon Valley dove – dice – la ristorazione «è l’unica cosa seria». E se così è, molto lo si deve a lei, Alice Waters.


Il suo ristorante “Chez Panisse”, aperto nel 1971 a Berkeley, ha posto gli americani di fronte a una verità: che nel piatto si possono mettere non solo hamburger e pollo fritto. E che oltre alle french fries esistono anche le verdure che crescono nell’orto. È lei che ha convinto Michelle Obama a creare il famoso orto biologico alla Casa Bianca. E sempre lei ha ideato gli Edible Schoolyard, introducendo gli orti didattici e rivoluzionando il menù delle mense di molte scuole e college americani (compreso Yale). 

Nascita di un’attivista alimentare


Oggi, all’età di 76 anni e al suo dodicesimo libro, è il simbolo dell’attivismo alimentare contro la “fast food nation”. Impegnata nel movimento Slow Food, molto amica di Carlin Petrini, è stata la prima donna a vincere il James Beard Award nel 1992, premiata da Barack Obama con la National Humanities Medal e insignita dall’ambasciatore d’Italia a Washington con l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. 


Ma com’è che una giovane 27enne del New Jersey, laureata in Letteratura francese, è finita per insegnare agli americani l’arte del saper mangiare con un bistrot aperto in California? «Non ho mai frequentato una scuola di cucina, non ho mai cucinato professionalmente», racconta nel suo best seller “Coming to My Senses: The Making of a Counterculture Cook”, in Italia uscito con il titolo “Con tutti i miei sensi” (Slow Food Editore). «Mi sono sempre detta che l’avevo fatto perché ero delusa dalla politica, e perché dovevo guadagnarmi da vivere. Inoltre, mi piaceva cucinare e avevo in mente di aprire un piccolo locale per gli amici, un rifugio dal tumulto che imperversava per le strade della nostra città».


Con il trasferimento a Los Angeles del papà Charles, responsabile delle risorse umane alla Prudential Financial, nel 1961 la famiglia Waters si sposta sulla costa Ovest. Alice è all’ultimo anno di scuola. L’anno dopo, arriva la scelta del college: il suo desiderio sarebbe stato iscriversi all’Università del Vermont, dove ci si poteva specializzare in lingue, ma i genitori le dicono subito che avrebbe dovuto scegliere tra le università della California perché per i residenti costavano solo 90 dollari al trimestre. Così si immatricola alla Santa Barbara University insieme all’amica di origini italiane Eleanor, dividendosi tra i corsi di francese e i party del campus. 


Si iscrive all’associazione studentesca femminile Alpha Phi, dalla quale verrà poi espulsa per «atteggiamenti contro la morale». Dopo l’ennesima espulsione di altre ragazze dalla Alpha Phi, il clima culturale di Santa Barbara comincia a starle stretto. Da lì, la decisione di trasferirsi a Berkeley con Eleanor. 


È il 1963, l’anno della Marcia su Washington. Nell’autunno di quell’anno, John Kennedy viene ucciso. «Correva voce che a Berkeley gli studenti protestassero, battendosi per i diritti civili. Sapevamo che qualcosa di cruciale stava per accadere», racconta Alice. E Berkeley, con la sua «atmosfera elettrica, carica di attivismo», all’opposto di Santa Barbara, fu uno shock. 


Comincia a seguire il Free Speech Movement guidato da Mario Savio, partecipa agli scioperi e ai sit-in. Arrivato il momento di scegliere l’argomento della tesi, la scelta ricade sulla storia della Rivoluzione francese. E così vola in Francia insieme all’amica Sara per il suo anno di studio all’estero, imbarcandosi su un volo della Icelandic Airlines, una sorta di pioniera delle low cost di oggi, soprannominata “The Hippie Airlines” perché scelta da tutti i ragazzi americani che si spostavano in Europa (su quel volo c’erano anche Louis Armstrong e la sua banda, che si esibirono per i passeggeri). 


Parigi e il gusto del cibo


A Parigi Alice Waters avrebbe dovuto frequentare il corso di civilizzazione francese della Sorbona. Ma, racconta, «non ci andai quasi mai... In un anno intero, seguii solo una o due lezioni. Quello che so per certo è che giravamo la città in lungo e in largo, viaggiavamo facendo l’autostop, visitavamo mostre d’arte, assistevamo a spettacoli di varietà, frequentavamo piccoli ristoranti e passavamo ore nei mercati. Poi andavamo a un sacco di concerti». 


È a Parigi che impara il «gusto del cibo». Ogni sera consultava i menù di due o tre ristoranti per scegliere il ristorante giusto. E grazie al suo fidanzato di allora, impara a ordinare l’insalata dopo il piatto principale, prima del dessert, per rinfrescare il palato. «L’insalata fu un dono prezioso della Francia», racconta. Oltre alle fragole, che non aveva mai assaggiato. Ai formaggi, ovviamente. E al vino. «Fu in Francia che lo scoprii per la prima volta». 


Ogni mattina usciva per comprare la baguette ancora calda. Lei, che conosceva solo i pancake, scopre le crepes e il sidro e se ne innamora. La gente, in Francia, tornava a casa per pranzo, sedeva attorno a tavola, faceva conversazione. Strane abitudini per una come lei che da bambina adorava la catena Automat, dove mettevi le monete in un distributore e usciva il piatto pronto. 


Il ritorno negli States


Alla fine, l’esame alla Sorbona non lo fa. Ma prima di tornare negli States, si concede il suo “grand tour” in Europa, passando per Roma e Venezia. Tornata negli Stati Uniti, Berkeley è in pieno subbuglio. Nel 1966 comincia a lavorare nel gruppo che sosteneva la campagna per la nomina di Bob Scheer al Congresso. Giornalista radicale, oppositore della partecipazione degli Stati Uniti alla guerra in Vietnam, sarebbe stata una figura molto importante nella sua vita. 


Il 1967 è l’anno della Summer of Love. Dalle finestre delle case di Berkeley arrivano le note dei Beatles. Ogni giorno ci si riuniva per parlare di politica. E, mentre discute, Alice non fa che preparare crème caramel e mousse al cioccolato per tutti. «Un pomeriggio del giugno 1967, ricordo che girando per ogni casa risuonava Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band», racconta. «Mentre preparavo una mousse di vaniglia col Grand Marnier il mio fidanzato mi disse: spero tu ti renda conto che questa mousse contiene più proteine di quante ne assume un bracciante vietnamita in una settimana. Ecco, questo era il ’67 qui».


Ma lei aveva cominciato a cucinare, e non avrebbe più smesso. Comincia a frequentare il negozio di tegami e libri di cucina di Berkeley. E anche il mercato di Monterey, evitando i supermercati che traboccavano di cibi in scatola e surgelati. 


L’obiettivo era ritrovare i sapori della Francia. A Berkeley non c’erano ristoranti francesi. E così comincia a cucinare per sé e per i suoi amici. Tra ricettari e pentole, prova e riprova a ritrovare quei sapori scoperti in Francia. Finché inaugura una rubrica di cucina sul neonato “San Francisco Express Times”. Il titolo è una premonizione: “Alice’s Restaurant”. Consigliava nuove ricette, ma solo dopo averle provate. 


Le origini d Chez Panisse


Tra una cena e una discussione impegnata, Alice si laurea. Ma non ha idea di cosa fare dopo. Per mantenersi, comincia a fare la cameriera, mentre tiene ancora sua rubrica di cucina. Poi, grazie a un’amica della sorella, scopre il metodo Montessori. «Io stessa non riuscivo ad apprendere in modo astratto e quel metodo era fondato sull’apprendere attraverso i sensi e sul conoscere attraverso il fare», dice. Un’illuminazione, Così nel 1968 vola a Londra per un corso di formazione alla Montessori International Training School. Nella capitale inglese scopre il cibo indiano (perché era economico) e tutte le spezie connesse. E poi risparmia, solo per potersi permettere i ristoranti di pesce, molluschi e ostriche. E nel piano della rivoluzione del 1968 viaggia in lungo e in largo per l’Europa, dall’Ungheria alla Grecia.


Tornata a Berkeley, comincia a insegnare all’asilo Montessori di Berkeley. E inizia a perlustrare Berkeley in cerca di un posto per un locale tutto suo in cui servire crepe e sidro, su cui fantasticava da tempo durante le cene con gli amici. 


Ma serviva un business plan. Presto si accorge che solo con le crepe non avrebbe guadagnato abbastanza. Un menù alla carta, però sarebbe stato troppo costoso. Da qui l’idea di un menù fisso, che cambia tutti i giorni, come nei ristorantini di quartiere di Parigi. A questo punto mancava qualcuno che avesse idea di come cucinare in un vero ristorante. E soprattutto la location. Al 1517 di Shattuck Avenue, Alice vede una casa a due piani in vendita a 32mila dollari. I soldi per comprarla non ce li ha, ma chiede all’agente immobiliare di sottoscrivere un contratto di affitto con l’opzione di acquisto. E, tre anni dopo, la comprò per 28mila dollari. Una scelta azzeccata, dirà poi. Il ristorante nei primi anni non avrebbe mai potuto reggere il costo di un affitto. 


I genitori si offrono di ipotecare la loro casa per prestarle i soldi e aprire il ristorante. E così il 28 agosto del 1971 viene inaugurato Chez Panisse. Né lei, né tantomeno tra i suoi amici, c’è uno chef professionista. Cuoco, aiuto cuoco, camerieri e cameriere sono tutti studenti neolaureati, registi e artisti appassionati di cucina legati alla controcultura. 


In quel ristorante cominciano a riunirsi i membri delle Pantere Nere, registi underground, si discute di politica e si vedono film al piano di sopra. «Io non sono mai stata hippie. Certamente non in cucina», dice Alice Waters a Michele Masneri. Contro i fast food che cominciavano a nascere, in quell’angolo di California si cominciano a recuperare ricette del passato, si rielabora la cucina francese. E a gestire il ristorante c’è una donna, cosa rara a quel tempo. 


L’idea del nome, Chez Panisse, si deve a Tom Luddy, suo fidanzato dell’epoca, critico cinematografico e studioso di cinema. Nella trilogia marsigliese di Marcel Pagnol, Panisse acconsentiva a sposare Fanny, incinta di un altro uomo. «Se Chez Panisse ebbe successo fu soprattutto grazie alla sua unicità. Noi che ci lavoravamo eravamo una famiglia», racconta Alice in “Con tutti i miei sensi”, «o quantomeno una tribù eccentrica e affiatata, senza una specifica qualifica professionale». 


È questo, tra alti e bassi e qualche tensione con i cuochi, il primo nucleo di quello che ora nelle guide chiamano il “Gourmet Ghetto”, sede della rivoluzione alimentare americana basata su un’idea di cibo «locale, stagionale, fresco». Il critico Warren Belasco, nel suo “Appetite for Change. How the Counterculture Took on the Food Industry”, sostiene che la cucina bio arrivi proprio dalla controcultura. Frutto dell’euforia di quel tempo in cui, mentre regnava il cibo in scatola, il motto era stato «Se vuoi fare qualcosa, fallo!». 


Alice Waters oggi


All’età di 76 anni, Alice oggi continua a viaggiare e a portare nei suoi piatti le suggestioni incontrate altrove. Ma le sue ricette non sono molto cambiate rispetto a quelle che sperimentava negli anni Sessanta. E allo Chez Panisse vige ancora la regola del menù fisso giornaliero. La location è rimasta quella del 1971. Né Alice ha mai voluto farne una catena di ristoranti. 


«Scherzando, ho sempre detto a Bob Scheer che la delusione per la sua sconfitta alle elezioni per il Congresso mi aveva convinto a intraprendere l’avventura di Chez Panisse», racconta. «Mio malgrado, tuttavia, la mia scelta assunse proprio un significato politico. Perché, come tutti noi avremmo capito in seguito, il cibo è l’atto più politico della nostra vita. Mangiare è un’esperienza quotidiana e le nostre scelte alimentari hanno conseguenze quotidiane che possono cambiare il mondo».

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