Il potere e l’uso del linguaggio della menzogna

Il potere e l’uso del linguaggio della menzogna

I potenti hanno fatto spesso ricorso alle menzogne per affermarsi e autotutelarsi. L’ultimo caso emblematico è quello di Donald Trump, che fa della perversione sistemica della verità il suo tratto distintivo

Benedetta Tobagi
Benedetta Tobagi
16/12/2020 , tempo di lettura 3 minuti

Il potere ha sempre fatto ricorso alla menzogna, per affermarsi e tutelare se stesso. A complicare le cose, spesso ammanta le proprie bugie con la corazza scintillante del vero, appropriandosi del linguaggio della denuncia e dello smascheramento degli abusi, piegandolo ai propri scopi. Proprio come il Satana dell’affresco di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto, che seduce le folle presentandosi con le sembianze di Gesù Cristo.


Il caso di Donald Trump è forse l’esempio più chiaro ed estremo di uno stile di potere che fa della perversione sistematica della verità la propria cifra distintiva, fino all’ultimo atto, le elezioni presidenziali dello scorso 3 novembre. Forte del voto e della fiducia di circa settanta milioni di americani, ha tenuto gli Stati Uniti e il mondo in sospeso per settimane, rifiutandosi di riconoscere la sconfitta a causa di fantomatici brogli elettorali che avrebbero interessato soprattutto il conteggio dei voti inviati per posta, a cui gli elettori, nell’annus horribilis del Covid 19, hanno fatto massicciamente ricorso per evitare di correre rischi inutili recandosi di persona ai seggi.

Tutte frottole, naturalmente. La situazione sembra essersi risolta, infine, ma i frutti avvelenati di questa radicale delegittimazione del presidente eletto, dell’intera macchina elettorale e dei soggetti che la tutelano graveranno a lungo sulla convivenza democratica, dentro e fuori dagli Usa. Le menzogne di Trump minano alla radice quel bene fragile e prezioso che è la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e risultano particolarmente ripugnanti se pensiamo a quanti sono, nel mondo, i luoghi in cui il diritto di voto è davvero negato o compromesso con l’inganno o la violenza.


I vaneggiamenti di Rudy Giuliani a nome del presidente uscente offendono la battaglia portata avanti in Bielorussia da centinaia di migliaia di cittadini scesi in piazza dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto 2020, in cui il presidente Aleksandr Lukashenko, candidato al sesto mandato consecutivo, sconfitto, si è proclamato vincitore con oltre l’80 per cento dei voti. Quasi tutti i principali rappresentanti dell’opposizione sono stati arrestati o costretti all’esilio, ma le proteste continuano.


Trump strizza l’occhio alle assurde fantasticherie di complotto di QAnon e si proclama vittima delle manovre del deep state, il cosiddetto “Stato profondo”, e questo rende ancora più urgente cercare di capire quando è nata e cosa significhi quest’espressione. E, soprattutto, quali siano davvero i soggetti che detengono, oggi, un potere capace di influenzare le istituzioni e i governi muovendosi dietro le quinte, dai mandarini delle burocrazie ministeriali alle multinazionali globali.

La lezione sul Potere nel Dizionario della complessità Fedu parla di questo e molto altro. Ho cercato di offrirvi spunti, strumenti e concetti per ragionare su una nozione straordinariamente ricca e ambigua, che attraversa tutte le forme dell’esperienza umana e le discipline più diverse, dalla scienza politica alla psicologia, dalla filosofia, all’economia, al diritto, alla letteratura. 


Nella convinzione che, come scrisse Italo Calvino nel 1978, “il diavolo” – inteso come “negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene” - spesso s’insinua nelle nostre vite come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, [...] come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione”, per cui “lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile”.


Ringraziamo Benedetta Tobagi per il contributo.

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