Economia dell'attenzione: un paradosso rischioso

L’economia dell’attenzione e il paradosso che sta uccidendo i giornali

Cosa si intende con l'espressione "Economia dell'attenzione"? Quando è stato introdotto? E cosa sostiene? Leggi l'articolo per scoprirlo.

14/04/2021 , tempo di lettura 4 MINUTI

Cosa succederebbe se il valore di un giornale si misurasse in base al livello di attenzione che un lettore è disposto a concedergli e non in base al numero di visitatori? Una riflessione quanto mai attuale, ma che ha radici lontane. 

Era il 1° settembre del 1969 il giorno in cui, nel corso di una conferenza in Pennsylvania, un uomo che 9 anni dopo avrebbe ricevuto il Premio Nobel per l’economia parlò con decenni di anticipo dei pericoli che una gestione non consapevole della tecnologia e dell’informazione avrebbe potuto comportare sull’evoluzione delle società. Herbert Simon, professore alla Carnegie-Mellon University di Pittsburgh, si alzò in piedi e parlò davanti a un’aula piena di persone alla Johns Hopkins University. Al centro del suo discorso c’era il suo libro dal titolo “La progettazione di organizzazioni in un mondo ricco di informazione” che diventò la base di tutte le successive analisi sull’economia dell’attenzione. 

Sono passati più di cinquant’anni da quel giorno, eppure le parole pronunciate da Simon sembrano essere state scritte un minuto fa allo scopo di descrivere le difficoltà che i giornali, i media e il mondo dell’editoria in generale affrontano ogni giorno. Una battaglia in cui c’è in gioco la sopravvivenza stessa dell’informazione, sempre più dipendente dalla pubblicità, sempre più in balia di un paradosso che non permette di monetizzare l’esponenziale aumento di pubblico determinato dalla centralità del digitale. Ma soprattutto sempre meno capace di attirare l’attenzione dei miliardi di lettori che ha a disposizione. 

L’economia dell’attenzione 

La riflessione di Simon, a metà tra l’economia e la psicologia, parte da un punto fermo: il rapporto strettissimo creatosi tra l’informazione e la capacità del pubblico di sostenere l’enorme mole di dati cui è esposto ogni giorno. “In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione”, afferma l’economista. Una realtà quanto mai attuale in un mondo in cui si producono sempre più contenuti digitali per un pubblico sempre più ampio. Siamo bombardati ogni giorno da centinaia di migliaia di dati, di articoli, di immagini e a questo bombardamento reagiamo sempre nello stesso modo: prestando meno attenzione alle informazioni che ci arrivano. 

Secondo gli studi, il tempo medio che un lettore trascorre su un sito web è pari a 40 secondi. Meno di un minuto in cui leggiamo distrattamente ciò che ci interessa per dimenticarlo poco dopo. 

La gratuità delle informazioni 

Abbiamo a disposizione milioni e milioni di informazioni sullo stesso argomento. Il passo successivo allora è d’obbligo: rivolgiamo la nostra (scarsa) attenzione solo ai contenuti che ci vengono proposti gratis: perché dovremmo pagare un'informazione quando c’è qualcun altro che la offre gratuitamente? 

“Siamo così al paradosso che le poche centinaia di migliaia di lettori che ancora comprano The New York Times in edizione stampata pagano 21 dollari a settimana per poterlo leggere su carta, i milioni (quasi 5) di lettori che leggono gli articoli dal quotidiano in digitale, lo fanno per meno di 2 dollari a settimana, se sono abbonati”, spiega Emanuele Bevilacqua, professore presso l’Università della Svizzera italiana, sullo European Journalism Observatory. 

Non riuscendo a contare sul digitale per aumentare i ricavi, i media sono sempre più dipendenti dalla pubblicità, diventata in alcuni casi l’unica fonte di fatturato. Peccato che, dato che il digitale vale poco, gli inserzionisti non sono disposti a pagare cifre elevate per le loro pubblicità. Il tempo di lettura sempre più ridotto sul web, rappresenta “una spiegazione aggiuntiva del perché gli spazi pubblicitari online valgano così poco e producano così poco fatturato, nonostante l’enorme quantità di visitatori in più rispetto ai media tradizionali...Il pubblico online partecipa in misura ridotta alla produzione di valore aggiunto, perché di molto inferiore è il tempo dedicato alla lettura digitale e di conseguenza è minore l’attenzione dedicata”, spiega Bevilacqua. 

La non soluzione trovata da molti è allora quella di tagliare i costi. Ma così facendo si riduce anche la qualità dell’informazione prodotta in un perenne cortocircuito che per il momento sembra non avere soluzione. 

The Atlantic: un esempio virtuoso 

C’è chi per tentare di sopravvivere sta attuando una strategia che va nella direzione opposta rispetto a quella applicata dalla stragrande maggioranza dei media: maggiore qualità e prezzi più alti. Una decisione che sicuramente riduce il numero di lettori, ma garantisce una più elevata fidelizzazione. 

Bevilacqua racconta l’esperienza del The Atlantic, storica rivista statunitense che, dopo anni di crisi, ha deciso di creare cinque siti tematici che hanno riportato in positivo i conti del giornale, contribuendo anche a rilanciare il mensile tradizionale. Anziché tagliare i costi, The Atlantic ha deciso di incentrare il proprio business sulla qualità dell’informazione che fornisce ed è riuscito nel miracolo di attirare l’attenzione del pubblico digitale. Un esempio su tutti risale al 2015, quando il giornale pubblica un’inchiesta approfondita sull’Isis dal titolo “What the Isis Really Wants”. “La serie viene pubblicata sul mensile e in digitale e dopo breve tempo The Atlantic dichiara che ha battuto un record: se si considera il tempo di lettura totale che il pubblico ha dedicato agli articoli, siamo davanti al contenuto che ha avuto il più alto tempo medio di lettura (3 minuti medi) e il più alto numero di pagine viste (oltre 20 milioni). Quindi non il numero maggiore di contatti, né di visitatori, ma il tempo complessivo più alto di lettura. Un record che fa riflettere”, analizza Bevilacqua che poi si chiede cosa succederebbe se, misurando l’attenzione e il gradimento del pubblico, si riuscisse finalmente a modificare il paradigma dominante, cercando di monetizzare l’attenzione e non il numero dei lettori. 

“L’Economia dell’attenzione può essere intesa come lo studio e la formalizzazione di alcune pratiche: 1) La capacità di fornire contenuti di valore, alle giuste tariffe in modo che tutte le parti in questione siano soddisfatte; 2) Evitare la dispersione di attenzione di tutta la catena produttiva, da chi realizza i contenuti fino a chi li consuma”, conclude il professore.

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