La Lezione di Carlo Urbani

La lezione di Carlo Urbani

Specialista di malattie parassitarie, Urbani creò il protocollo che permise di limitare la diffusione della Sars nel 2003. Il suo lavoro è alla base delle misure previste dall'Oms per contrastare le pandemie

30/12/2020 , tempo di lettura 4 MINUTI

La storia del dottor Carlo Urbani, il medico italiano che riuscì a individuare e isolare il virus della Sars nel 2003, limitandone la diffusione e il numero di vittime, ma perdendo la vita per farlo è la storia di una persona e di un professionista che ha scelto di andare incontro alla complessità, con determinazione, rigore e dedizione.


Combattere la malattia della povertà

La storia di Urbani comincia a Castelplanio, in provincia di Ancona, nel 1956. Laureatosi in medicina, Urbani si specializza in malattie infettive, lavorando presso l’ospedale di Macerata. Qui, insieme ad altri colleghi, decide di organizzare tra il 1988 e il 1989 alcuni viaggi per portare aiuti sanitari nei Paesi dell’Africa Centrale.

Durante questa esperienza si rende conto che in questi luoghi si muore per malattie banali, come la diarrea o le crisi respiratorie, altrove curabili con farmaci comuni ed economicamente accessibili, che però nessuno ha interesse a portare in luoghi così poveri. 

Per Urbani questa realizzazione è così forte da convincerlo a lasciare l’ospedale, dove stava per diventare primario, per entrare a far parte di Medici senza Frontiere e trasferirsi nel 1996 in Cambogia con la famiglia. In parallelo, diventa anche consulente per l’Organizzazione Mondiale della Sanità sulle malattie parassitarie e, in questa veste, continua a ribadire che il principale motivo della pericolosità e della diffusione di questi morbi in queste aree è la povertà. 

Il virus della Sars

Nel 1999 Urbani diventa presidente di Medici senza Frontiere Italia e partecipa, insieme agli altri membri della delegazione, alla consegna del Nobel per la Pace, conferito alla Ong.

Nel frattempo, dopo la Cambogia, Urbani e la famiglia si trasferiscono in Laos e poi in Vietnam. Qui il 28 febbraio del 2003 Urbani è chiamato ad Hanoi, dove un uomo occidentale era stato colpito da una malattia sconosciuta e con lui si erano poi ammalati anche alcuni membri del personale che lo curava.

Urbani capisce che si tratta di un virus sconosciuto - sarà poi individuato come Sars, acronimo di Sindrome Respiratoria Acuta Grave, imparentato con il virus che ha generato quest’anno il Covid-19 - e che la soluzione più efficace per gestire la malattia è isolare i pazienti per limitare la diffusione del virus. 

Urbani riesce quindi a contattare le autorità vietnamite e a convincerle a chiudere i confini. Questo limiterà le vittime a 775 in tutto l’Estremo Oriente - il virus era nato anche quella volta in Cina, dove era stato individuato nel novembre del 2002, probabilmente anche in quel caso in seguito a un salto di specie. 

All’inizio di marzo 2003, durante un volo che lo portava a Bangkok, in Thailandia, per un convegno, Urbani inizia a stare male: riconoscendo i sintomi della Sars, avverte i colleghi che lo aspettano della necessità di ricoverarlo subito in ospedale, in isolamento. La moglie, Giuliana Chiorrini, oggi presidentessa del comitato locale della Croce Rossa a Castelplanio, dopo aver rimandato i figli in Italia, lo raggiunge per stargli vicino, nei limiti del possibile, dato il protocollo di isolamento che lo stesso Urbani aveva creato. Il 29 marzo 2003, a 46 anni, Carlo Urbani muore. 

L'eredità

Il suo lavoro, fondamentale per circoscrivere quel virus Sars, è rimasto la base del protocollo dell’OMS per le misure anti-pandemia. Urbani, come racconta questa lettera raccolta come testimonianza del suo lavoro e del suo approccio dall'associazione costituita per ricordarlo e per portare avanti il suo impegno, negli anni aveva maturato un approccio rigoroso che non accettava di abbandonare il campo solo perché le cose si facevano difficili o perché erano semplicemente considerate tali. “Nella vita sono sempre più esigente - scriveva a maggio 2002 -. La superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza mi fa diventare quasi violento. Si dice in genere che non esiste una situazione con il bianco e il nero ben distinti, che si può trovare del torto e della ragione ovunque. Io invece, per una dolorosa passione e romanticismo, continuo a credere che si possa dire ‘questo è sbagliato’ oppure ‘questo fa schifo’ senza titubare. Occorre saper distinguere dove sta il bene e dove si annida il male”.

Nel suo percorso e nelle sue scelte, Urbani aveva trovato il proprio metro di valutazione. L’esperienza di avvicinarsi ai più poveri e bisognosi, la forza di denunciare un problema banale ed evidente come la trascuratezza nei confronti della vita di persone che non possono permettersi dei medicinali comuni in ogni Paese sviluppato, l’intuizione, la competenza e la determinazione che gli permisero di contrastare efficacemente e vittoriosamente un virus pericoloso come la Sars sono un’eredità e un patrimonio preziosi di competenze umane e professionali.


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