La personalità nelle fotografie, secondo Oliviero Toscani

La personalità nella fotografia, secondo Oliviero Toscani

Quando si fotografa un essere umano è importante analizzarne la personalità. È qualcosa che non ha consistenza fisica, ma miracolosamente appare in fotografia. Ed è questo che la rende un’arte magica

Oliviero Toscani
Oliviero Toscani
21/01/2021 , tempo di lettura 4 minuti

Essere fotografo significa essere anche psicologo, perché si deve vedere, capire, analizzare e criticare il soggetto per poterlo fotografare. E non mi riferisco solo alle persone, ma anche agli oggetti, all’architettura, ai paesaggi e a qualsiasi soggetto che si decida di fotografare. Per questo la personalità mi ha sempre intrigato, perché è la combinazione dell’esteriorità e dell’interiorità di ogni persona.


Quando si fotografa un essere umano è importante analizzarne la personalità. C’è un rapporto importante fra la morfologia esteriore e la sensibilità interiore, il modo di muoversi, lo sguardo, il tono della voce, i gesti; questo insieme di fattori creano la personalità. La personalità è un’entità intima, a volte misteriosa anche per se stessi, preziosa, unica.

È la personalità che ci contraddistingue. È la personalità che ci fa essere quello che siamo. È l’elemento principale nel nostro rapporto con gli altri. Si sviluppa e si manifesta nelle relazioni umane, non necessariamente, o almeno, non solo, nei confronti di altre persone, ma anche nei confronti di noi stessi. Per questo a volte spaventa, per questo a volte mette in crisi.

Chi dice di non essere fotogenico, per esempio, ha dei problemi con la propria personalità, non riesce ad accettarla. Non esiste il concetto di non fotogenico, la fotografia rispecchia sempre la realtà, negarla o rifiutarla significa che c’è un problema di accettazione di se stessi. Vuol dire che non ci si piace.

La personalità risiede in ogni essere umano. Fotograficamente, il punto dove più si può leggere la personalità è costituito dagli occhi, per questa ragione lo sguardo è importante. Bisogna saper leggere negli occhi, perché lo sguardo apre le porte dell’anima. Mi sono sempre chiesto perché abbiamo tutti un problema nel guardarci negli occhi, forse la ragione è che così facendo scopriamo proprio quella zona del nostro essere dove è possibile penetrare e dove non abbiamo difese, non possiamo fingere. Guardandoci negli occhi mettiamo a nudo la nostra personalità, e spesso abbiamo il timore di esporla. 

Quando fotografo qualcuno gli chiedo di guardare dritto nell’obiettivo, gli dico di guardare oltre la lente, di cercare di vedere cosa c’è là in fondo, di non pensare assolutamente di essere fotografato (e quindi guardato), e di non cercare di apparire diversi da quello che si è veramente, di non inseguire il cosiddetto “vorrei ma non sono”. Infatti chi mente a se stesso non risulterà mai interessante, risulterà come qualcuno che non ha personalità, quindi poco affascinante. 

Facendo guardare dritto in fondo all’obiettivo lascio la possibilità di vedermi, studiarmi e criticarmi. Per fare questo devo spogliarmi di tutti gli orpelli e tecnicismi, e presentarmi in modo semplice e diretto, come se non ci fosse la macchina fotografica fra me e il mio soggetto. Il fotografo deve essere preparato nel semplificare nel modo più veloce possibile tutte le azioni tecniche che sono richieste quando si fotografa.


Quando fotografo c’è un momento infinitesimale in cui si crea un flusso tra me e il soggetto che sto fotografando, ed è proprio la cattura di quel flusso magico che rende una fotografia interessante. Quando fotografo un essere vivente, questo flusso è particolarmente importante, bisogna porsi di fronte al soggetto e cercare di penetrare attraverso lo sguardo cercando di trovare l'intangibile. È lì che si trova la personalità, ciò che non ha consistenza fisica, ma che miracolosamente appare in fotografia. È questo che rende la fotografia un’arte magica.  

Da molti anni, in differenti parti del mondo, per strada, utilizzando un fondalino bianco, chiedo alla gente che passa di poterla fotografare. Uno per volta, fotografo le persone cercando di eliminare tutti i virtuosismi, i tecnicismi, i trucchetti che normalmente i fotografi utilizzano pensando di migliorare le loro foto. Semplifico il più possibile tutto ciò che si può semplificare. È nell’essenzialità che risiede la profondità e l’individualità. Questo progetto a me molto caro si chiama Razza Umana, ed è uno studio sociopolitico, culturale e antropologico. Fotografo gli esseri umani per capirne le differenze, non esistono razze, non sono mai esistiti due esseri umani uguali, perché siamo tutti diversi, pur appartenendo tutti a una sola razza, la Razza Umana. Portando avanti questo progetto mi sono reso conto che ogni essere umano è un’opera d’arte nella sua unicità, non esiste il brutto, esistono il bello e il brutto solamente accettando i canoni di un conformismo estetico.

Non esiste la perfezione, o forse la perfezione è in ognuno di noi, e quindi mi interessa l’imperfezione umana, perché è lì che è possibile trovare tutte le forme possibili di creatività. Mi ha sempre emozionato l’unicità di ogni individuo, ragione ultima per cui io fotografo essenzialmente gli esseri umani nelle loro espressioni multiple, mi interessa quello che è considerata la condizione umana, non tanto quella sociale, ma quella che plasma la personalità di ognuno di noi.


Alcune popolazioni non ancora snaturate e rimbecillite dalla comunicazione, soprattutto dai social, pensano che la fotografia rubi l’anima. Credo che abbiano ragione. Avendo fatto il fotografo per tanti anni, ho fotografato migliaia di persone, lavorando per tutti i giornali, soprattutto di moda, e mi sono reso conto che i modelli e le top model, che piacciono così tanto al pubblico, hanno uno sguardo svuotato dalla personalità, sono solamente dei begli involucri fisici. Piacciono perché chi è così non crea problemi complessi di analisi di personalità e carattere, sono facili da leggere, non esprimono emozioni, rappresentano semplicemente l’estetica esterna conforme alla bellezza conformata, sono semplicemente dei gusci umani, non esprimono la complessità della personalità.


Ringraziamo Oliviero Toscani per il contributo.

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