La resilienza e noi

La resilienza e noi

Uno sguardo a una delle parole più influenti degli ultimi anni

Benedetta Tobagi
Benedetta Tobagi
02/12/2020 , tempo di lettura 4 minuti

“Resilienza” negli ultimi anni è una “parola-prezzemolo”, utilizzata dappertutto, talvolta a sproposito, un po’ come “empatia” e “sostenibilità”; ha ormai fatto il suo ingresso anche nella comunicazione politica al massimo livello, dall’inauguration speech di Barack Obama alle recenti dichiarazioni della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che nella primavera 2020 ha lanciato un pubblico invito a costruire “un’Europa verde, digitale e resiliente”. Nella video-lezione dedicata all’interno del Dizionario della Complessità provo a chiarire cosa significhi e insieme a ragionare con voi sui motivi per cui questo concetto sia diventato così popolare.


Cosa vuol dire resilienza?


In origine, il termine designa “la capacità di un materiale di assorbire energia elasticamente quando sottoposto a un carico o a un urto, prima di giungere a rottura”. Nell’ingegneria meccanica indica infatti la capacità di una struttura, come un ponte o un palazzo, di resistere a uno shock improvviso, senza spezzarsi. Da qui, la parola è passata a molti altri ambiti. Secondo una definizione generale, mutuata dall’ecologia e dalla sociologia, la resilienza è “la capacità di un sistema, di una persona o di un’impresa di conservare la propria integrità e il proprio scopo fondamentale di fronte a una drastica modificazione delle circostanze”.

Dire “resilienza”, quindi, vuol dire parlare di eventi traumatici. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’enfasi su questo concetto nel discorso pubblico è cresciuta di pari passo alla consapevolezza di vivere in un mondo sempre più complesso e insieme precario, esposto a sconvolgimenti e sconquassi imprevedibili. Le nostre vite sono immerse in una selva di sistemi sovrapposti - sociali, politici, economici, tecnologici, ambientali. La crisi economica del 2008 ha reso evidente in modo drammatico l’interdipendenza e l’interconnessione tra sfere diverse e diverse parti del mondo, e lo stesso faranno in misura sempre maggiore gli effetti del riscaldamento globale, spiegano gli scienziati.


Una forza che nasce dalla vulnerabilità


Parlare di resilienza, insomma, è un modo carino per metterci in guardia, ma al tempo stesso un invito a non restare paralizzati dalla paura. In potenza, infatti, abbiamo tutti la capacità di reagire in modo vitale, hanno chiarito gli studi psicologici condotti a partire dagli anni Ottanta. Bisogna coltivarla. “Resilienza” non è semplicemente sopravvivere a uno shock, a un trauma o a una catastrofe. Il termine racchiude in sé il riferimento a un percorso, un processo fatto di sopravvivenza, meccanismi di adattamento e capacità di ripresa, ciò che molti sopravvissuti ai campi di sterminio hanno definito come “la lotta per restare uomini”, e non semplicemente per rimanere in vita.

“Ciò che non mi uccide mi rende più forte”, aveva scritto Nietzsche. La resilienza ci affascina come esseri umani perché, semplicemente, siamo tutti vulnerabili, esposti ai colpi, anche feroci, della vita. Per questo ci piace, ci conforta, ci ispira, la storia di chi mostra che si può uscire, e bene, praticamente da qualunque cosa.


Raccontare e vivere la resilienza


Le narrazioni basate sulla resilienza possono risultare molto potenti e la loro efficacia sul piano comunicativo è straordinaria. Non a caso, alcune delle serie televisive più longeve e di maggior successo in tutto il mondo, da Grey’s Anatomy, il medical drama giunto alla diciassettesima stagione, a Law & Order – Unità vittime speciali, che ha tagliato il traguardo-record della ventesima, hanno come protagoniste quelle che in termini sciamanici sarebbero definite “guaritrici ferite”. E il presidente eletto Joe Biden ha fatto della resilienza l’architrave della propria immagine pubblica, a partire da una vicenda autobiografica segnata da lutti devastanti, dalla morte della prima moglie in un incidente stradale quando i loro due figli erano piccoli, a quella del primogenito Beau, stroncato da un cancro al cervello a 46 anni, a cui risale addirittura la candidatura del padre alla Casa Bianca, come narra la sua autobiografia, significativamente intitolata "Papà fammi una promessa".

Si parla sempre di “trasformare le crisi in opportunità”, ma non è un meccanismo immediato, anzi. Lo studio della resilienza cerca di dare indicazioni pratiche e concrete su cosa precisamente significhi e soprattutto su come farlo. Per ricordarci sempre che, qualunque cosa succeda, non siamo prigionieri del passato né vittime delle circostanze. Non siamo quel che ci è successo, ma ciò che scegliamo di fare con ciò che ci è successo.


Ringraziamo Benedetta Tobagi per il contributo.

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