Le soft skill del futuro che ci insegna la vita

Le soft skill del futuro che ci insegna la vita

Transizioni di vita ed emergenza sanitaria: il cambiamento che aiuta a crescere.

Riccarda Zezza
Riccarda Zezza
02/01/2021 , tempo di lettura 4 MINUTI

La capacità di risolvere problemi complessi è al primo posto nella classifica delle competenze necessarie per affrontare la prossima decade stilata dal World Economic Forum, l’ente no profit internazionale per la promozione delle migliori pratiche per lo sviluppo sociale ed economico mondiale. Il problem solving sarà la skill più richiesta nel contesto lavorativo: in un mondo sempre più tecnologico quello che serve sul lavoro è, soprattutto, essere… umani. Cioè essere dotati di quelle competenze e capacità, come la gestione e soluzione dei problemi, il pensiero critico, la creatività, l’abilità di coordinamento con altre persone, l’adattabilità e l’interpretazione di nuovi contesti, che soprattutto alleniamo di più fuori dal contesto lavorativo. 

La vita come palestra di competenze

Nulla di più ovvio e nulla di più dimenticato: è la vita, con le sue curve e suoi tornanti che ci prepara e forma per affrontare anche le sfide professionali. Per esempio, nei ruoli che ricopriamo nella nostra quotidianità (come genitori, figli, amici, ) alleniamo - spesso inconsapevolmente - delle competenze che possono essere "trasportate" anche nel contesto lavorativo. In pratica, quei ruoli che tendiamo a considerare come detrattori di tempo ed energie dalla nostra vita professionale sono in realtà delle vere e proprie "palestre" di competenze, e il primo passo per farle emergere è esserne consapevoli. Eppure la tendenza è sempre quella di considerare la dimensione esistenziale personale distinta e separata da quella professionale. Questo assunto porta spesso a trascurare le transizioni della vita delle persone, come fatti secondari se non addirittura fattori di regressione professionale. Uno spreco!

Gli insegnamenti dell'essere un genitore

Prendiamo la più classica delle transizioni di vita: diventare genitori. Come ogni cambiamento che impatta le nostre dimensioni identitarie, ci mette di fronte ad un nuova cornice e definizione del sé: sono mamma, sono papà.  Un fatto che mette in moto parti del nostro cervello che stavano andando in automatico e obbliga a ristabilire una serie di punti di riferimento: chi siamo, che reti di relazioni abbiamo, che capacità usiamo in modo nuovo, qual è il senso della nostra vita. Un processo che può avvenire in modo inconsapevole, magari anche di sofferenza, ansia e paura. L’accettazione e la gestione del cambiamento è già di per sé una competenza che possiamo allenare solo se riusciamo ad esserne consapevoli. La nuova dimensione, così importante e “invadente” nella nostra vita di adulti lavoratori, non sostituisce le altre ma le arricchisce, rendendo più ampio il territorio di risorse e competenze a disposizione del genitore.

Comprenderne la potenzialità non è banale, perché costringe a rivedere le priorità e scale valoriali: per esempio essere una moglie affettuosa o un buon padre e, nel contempo, un buon professionista, lavoratore, non possono più essere considerati un ossimoro. Nelle transizioni, nel cambiamento, si realizza un momento di potenziale crescita, che ha bisogno di essere visto, riconosciuto valorizzato per liberare le energie positive che ogni nuovo inizio può generare. L’idea alla base di Lifeed è proprio questa: mettere le persone che affrontano una transizione di vita in grado di valorizzarne il potenziale di crescita. Un’idea semplice e, forse proprio per questo, rivoluzionaria. Con Lifeed la vita diventa un master.  

Cambiamento consapevole

Non basta vivere il cambiamento, è necessario imparare ad imparare dalla vita. Si tratta di acquisire la consapevolezza delle proprie identità e dei molteplici ruoli che interpretiamo nella vita (genitori, figli, lavoratori, datori di lavoro, amici, clienti, pazienti) osservare le esperienze che la vita ci consegna. La chiave a tutta lì: riconoscere le nostre capacità e capire come allenarle e migliorarle, vivendo. Se portiamo questo concetto su scala più ampia, emerge il messaggio rivoluzionario. Prendiamo la crisi che stiamo affrontando. È un fatto che riguarda tutti, che ha messo ciascuno in modo più o meno inconsapevole in una situazione sospesa: l’isolamento, l’incertezza, la provvisorietà. Ha costretto a fare scelte, cambiare: dunque imparare. Una analisi di Lifeed su 2.500 persone durante il lockdown ha rilevato che la stragrande maggioranza delle persone ha riconosciuto di aver usato maggiormente competenze per la “gestione del cambiamento” (80%), il 52,7% di “apertura mentale”, il 36,6% di “creatività”, il 32,4% di “intraprendenza” e il 23,9% di “ visione”. In altri termini l’emergenza sanitaria, alla stregua delle tante transizioni di vita che ciascuno di noi affronta singolarmente nell’esistenza, ha attivato competenze che, complice la narrazione mediatica della crisi, sono state decodificate e analizzate anche in una dimensione collettiva.


Un’occasione epocale, per riconoscere la complessità degli individui, non più polarizzati in  dimensione lavorativa e  personale come elementi da bilanciare, ma valorizzati come aspetti da integrare in sinergia tra loro.  E lì, nella nostra più complessa e profonda umanità, che scoveremo l’unica cassetta degli attrezzi che ci servirà, come ci indica il WEF, ad affrontare le sfide del prossimo decennio, come persone, come organizzazioni come Paese.


Ringraziamo Riccarda Zezza per il contributo.

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