Le startup italiane tra cultura, innovazione e Recovery plan

Le startup italiane tra cultura, innovazione e Recovery plan

Quasi il 40% delle startup innovative italiane si occupa di cultura e creatività. Per queste piccole realtà il Recovery plan può diventare un importante fattore di crescita. Tre progetti interessanti da cui partire

22/07/2021 , tempo di lettura 7 minuti

Digitalizzazione, innovazione, sostenibilità. Sono le tre parole d’ordine da ricordare se si vuole creare un’attività di successo in qualsiasi settore, nonostante le difficoltà della pandemia e la stagnazione che da decenni affligge l’economia italiana. Eppure le imprese nostrane hanno ancora molta, troppa, strada da fare per mettersi al passo coi tempi e creare un ecosistema imprenditoriale capace di competere con la concorrenza che arriva dall’estero, ma soprattutto di far fare al mercato del lavoro italiano quel salto di qualità di cui ha bisogno per sopravvivere, progredire e attrarre talenti.

In questo contesto però ci sono realtà che sin dalla loro nascita si nutrono di innovazione, creatività e competenza per cercare di farsi largo nell'imprenditoria nostrana, portando nel proprio settore di riferimento una ventata d’aria fresca che spesso incontra l’interesse e il gusto dei consumatori, dando loro ciò di cui hanno bisogno. Parliamo delle startup innovative, piccole aziende, spesso guidate da giovani, che anche nel bel mezzo della crisi innescata dal Covid-19 sono riuscite a dimostrare la loro vitalità e la loro solidità, innovando prodotti e processi industriali all’insegna della sostenibilità e della digitalizzazione. Secondo i dati forniti dall’Agenzia ICE infatti, ”nell’anno 2020 è stato toccato il record di investimenti del venture capital italiano, che ha raggiunto la cifra storica di 780 milioni di euro”. Un importo considerevole che ha fornito “all’ecosistema delle startup italiane non solo il capitale necessario per sostenere gli importanti programmi di investimento in tecnologia e ricerca, ma soprattutto quella linfa vitale di liquidità in grado di permettere al sistema di resistere agli impatti fortemente negativi dell’emergenza pandemica”, si legge nel report dell’agenzia. 

La fotografia delle startup italiane 

Secondo l’ultimo monitoraggio del ministero dello Sviluppo Economico, realizzato in collaborazione con InfoCamere, il numero delle startup innovative in Italia continua a crescere. Al 1° luglio 2021 erano 13.582, il 3,6% di tutte le società di capitali costituite recentemente e oltre 3mila in più rispetto alle 10mila di fine 2019. La Lombardia continua ad essere la casa preferita di queste aziende, seguita dal Lazio e dalla Campania, tuttavia, la regione con la maggiore densità di imprese innovative è il Trentino-Alto Adige, dove circa il 6% di tutte le società costituite negli ultimi 5 anni è una startup. Sotto il profilo occupazionale, le startup innovative impiegano oggi oltre 65mila lavoratori. “Elevata - sottolinea il MISE - la rappresentazione di imprese fondate da under-35 (il 18,1% del totale)”. Dal punto di vista economico, si tratta soprattutto di micro-imprese che vantano un valore della produzione medio di poco inferiore a 171,7 mila euro e presentano un tasso di immobilizzazioni – uno dei principali indicatori della propensione a investire delle aziende – di circa sette volte più elevato rispetto alle altre aziende comparabili. 

Le startup culturali 

Spesso quando si parla di startup innovative si pensa che la loro attività sia strettamente legata a settori a forte trazione digitale come l’informatica, il fintech, le biotecnologie e via dicendo. È vero solo a metà. Leggendo il report annuale sulle Startup e le Pmi innovative realizzato dal MISE si scopre infatti che il 37,7% di queste realtà, quasi quattro su dieci, sono startup culturali e creative che cercano di portare innovazione in un settore fondamentale per l’Italia, il Paese con la maggiore offerta culturale a livello planetario. 

In base a quanto emerso nel corso dell’ultimo Tavolo Giovani, l’iniziativa ideata per le giovani imprese promettenti dalla Camera di commercio di Milano, Monza, Brianza, Lodi, tutte le startup culturali italiane di successo hanno una caratteristica in comune: l’interdisciplinarità, vale a dire la capacità di far convivere e dialogare creatività da un lato e competenze economico-gestionali dall'altro. Solo grazie a questa commistione, infatti, si riesce a creare un’impresa innovativa con i conti in ordine, ma anche capace di attirare l’attenzione di un pubblico talmente abituato alla bellezza e alla cultura che gli sta intorno, da darle quasi per scontate. 

Le opportunità del Recovery per la Cultura 

Per le startup culturali italiane il Recovery Plan può rappresentare un’opportunità unica, superiore a quelle già a disposizione con i bandi e i percorsi di accelerazione disponibili sul mercato. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riserva alla Cultura 6,675 miliardi di euro per incrementare il livello di attrattività e migliorare gli standard digitali e di sostenibilità del settore. 

“La cultura darà un grande contributo alla ripartenza del Paese. Il Recovery plan introduce risorse fondamentali che dimostrano come la cultura sia al centro delle scelte di questo governo”, ha affermato il ministro della Cultura, Dario Franceschini. Per la crescita delle startup culturali italiane, centrali possono diventare in particolare le risorse messe a disposizione dal Governo Draghi (pari a circa mezzo miliardo di euro) per la digitalizzazione di collezioni museali, archivi, biblioteche e luoghi della Cultura; per migliorare l’efficienza energetica di cinema, teatri e musei (300 milioni); per implementare la competitività del settore cinematografico e audiovisivo (455 milioni). Ulteriori risorse saranno investite per il rilancio della formazione, della digitalizzazione e dell’efficientamento energetico della Cultura e per “favorire la ripresa dei settori culturali e creativi promuovendo la domanda e la partecipazione culturale”. 

Insomma alle piccole imprese che puntano sull’innovazione culturale, il Recovery Plan può dare un impulso decisivo, utile a trasformare un settore che si nutre dei fasti del passato ma che per avere un futuro deve costruire delle solide basi digitali e creative. 

Innovazione culturale: tre esempi virtuosi 

C’è già chi grazie alla propria creatività e a idee a volte semplici altre più complesse sta riuscendo a portare avanti percorsi culturali fortemente innovativi in grado di rappresentare un unicum nel panorama artistico-culturale italiano. È il caso di Janus, la startup universitaria nata da un progetto del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura dell’Università La Sapienza di Roma. Il nome è già un programma. Giano era la divinità che riusciva a guardare contemporaneamente al passato e al futuro. Janus si propone di avere “uno sguardo al passato, con gli occhi del futuro” allo scopo di “valorizzare la comunicazione del patrimonio culturale tramite l’impiego di tecnologie dall’alto valore scientifico per migliorare il modello tradizionale di comunicazione dei beni culturali”, si legge sul sito. 

Per farlo la startup utilizza le competenze dell’ICT - come la realtà virtuale, la realtà aumentata, le ricostruzioni tridimensionali, i panorami virtuali/interattivi e i musei virtuali – per produrre contenuti di alta qualità da proporre a musei, soprintendenze, comuni e fondazioni. “La pittura, la scultura e l’architettura hanno sempre avuto un ruolo pedagogico basato sull’utilizzo consapevole del linguaggio visuale per trasmettere in modo evocativo e immediato specifici messaggi – spiega il coordinatore scientifico Graziano Mario Valenti del Dipartimento di Storia, disegno e restauro dell’architettura della Sapienza. “L’operazione culturale che si intende perseguire è quella di condividere la conoscenza, senza che il background dell’utente sia una discriminante e di stimolare il senso di partecipazione e di coinvolgimento emotivo al bene culturale”. Il tutto si traduce in un museo virtuale che diventa un luogo di interazione attraverso tre fasi: una approfondita conoscenza dell’oggetto di studio, la produzione dei contenuti mediante l’analisi dei dati acquisiti per la costruzione dei modelli virtuali e la comunicazione dell’oggetto con soluzioni innovative. 

Il secondo progetto da segnalare parte dalle basi della Cultura, vale a dire istruzione e formazione. Proprio nel momento più duro della pandemia, in cui il Covid-19 ha messo a dura prova scuole e università di tutto il mondo, una startup italiana è riuscita a dare un contributo enorme, favorendo la diffusione della didattica a distanza e garantendo agli studenti il diritto allo studio. WeSchool è una startup creata dal trentenne Marco De Rossi. Durante il lockdown del 2020, era una delle tre piattaforme suggerite dal ministero dell’Istruzione per la didattica a distanza. Le altre due? Arrivavano direttamente da Google e Microsoft, non proprio due aziende alle prime armi, per intenderci. La piattaforma è stata utilizzata su smartphone o computer da 1,1 milioni di studenti e docenti al giorno. Un successo enorme che ha permesso alla startup di ricevere lo scorso agosto un investimento pari a 6,4 milioni di euro per cercare di implementare strumenti e tecniche per la scuola digitale e l’innovazione didattica. 

Adesso che lockdown e restrizioni sono stati (si spera) archiviati, WeSchool non ha intenzione di diventare una parentesi ed è già al lavoro per “la scuola del futuro”. “Bisogna pensare a una scuola diversa, a una didattica integrata, perché la vera innovazione non è nelle tecnologie utilizzate ma nella metodologia di insegnamento e con WeSchool lavoreremo per accompagnare i docenti in questo percorso”, ha raccontato De Rossi a Forbes. 

L'ultimo esperimento emerso sul mercato riguarda gli NFT. I Not Fungible Token arrivano sul grande schermo grazie un progetto realizzato da EY e dalla startup italiana CinTech. L’opera "La leggenda di Kaspar Hauser" di Davide Manuli è stata resa accessibile in 62 scene NFT che verranno messe all'asta il 31 luglio sulle piattaforme digitali OpenSea, Rarible e Crypto.com. Un’idea innovativa per rilanciare l’industria cinematografica alle prese con la crisi innescata dalla pandemia, ma anche per far convivere intrattenimento e tecnologia attraverso l’arte sulla strada di quella trasformazione digitale richiesta dal Governo. Come è stato costruito il progetto? EY ha seguito la parte strategica e operativa che ha condotto alla nascita dei 62 NFT del film tramite la sua soluzione proprietaria blockchain.ey.com, con la pianificazione del processo di vendita. L’intuizione di costruire un film legandolo alla tecnologia NFT arriva invece da Cintech, startup nata pochi mesi fa da un’idea di Renato Pezzi, Jacopo e Nicolò Lucignano. “Con questa operazione vogliamo dimostrare a coloro che sono in possesso di contenuti e asset digitali come sia possibile innovare il proprio business model creando nuovi flussi di ricavi e fonti di finanziamento” hanno precisato i tre fondatori dell'azienda". I ricavi derivanti dalla vendita di questo primo film in NFT saranno utilizzati per creare un docufilm incentrato sul fenomeno dei Not Fungible Token, "un esempio di come si possa dare vita ad un'economia circolare che permette di impiegare i proventi derivanti dalla vendita dei token per la produzione di nuovi film, opere d’arte ed altro ancora”, spiega CinTech. Progetti simili, inoltre, potrebbero presto arrivare nei settori dello sport, del turismo, della cultura e dell’intrattenimento.

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