Liberare la meraviglia dentro

Liberare la meraviglia dentro

Come il cambiamento e la crisi pandemica ci hanno reso più liberi.

Riccarda Zezza
Riccarda Zezza
12/02/2021 , tempo di lettura 4 MINUTI

Scoprire la meraviglia dentro. È quello che abbiamo fatto durante la pandemia. Vivere l’incertezza che ancora dopo mesi stiamo navigando, osservando l’orizzonte alla ricerca di un approdo. Mentre parole come tampone, curva epidemica e distanziamento sociale entravano nel vocabolario di uso quotidiano, mentre imparavamo a informarci, comunicare socializzare e perfino fare la spesa quasi esclusivamente su canali digitali, abbiamo sviluppato nuove abilità e allenato la meraviglia dentro di noi.

“La chiamiamo meraviglia, perché le persone si stupiscono sempre di scoprire quante risorse e abilità possono rivelare” spiega Chiara Bacilieri, Head of Data di Lifeed, piattaforma digitale di formazione che lavora secondo il principio del Life based Learning, l'apprendimento basato sulle esperienze di vita.

I benefici di una crisi

Le crisi generate dalle transizioni permettono di scoprirci più forti: competenze, risorse, energie positive, capacità, che non sapevamo di avere ma che espandono l’orizzonte delle nostre possibilità, perché il cambiamento mette in moto un processo di adattamento che costringe a rimettere a fuoco ciò che siamo e la cornice di senso delle nostre azioni e comportamenti. 

Anche il Covid-19 ha posto sfide nuove con cui fare i conti. Ma questa volta l’esperienza è stata diffusa, comune, condivisa. Una delle transizioni più potenti e radicali che la comunità tutta abbia vissuto. Ciascuno l’ha vissuta nel suo intimo e contemporaneamente l’ha vista riflessa nei volti mascherati di colleghi, vicini, conoscenti e sconosciuti. L’incertezza ha rivelato una grande certezza: quante risorse possiamo esprimere e non sapevamo di avere, la meraviglia appunto.

Le routine nate dalla pandemia

Durante il primo lockdown sono stati interpellate da Lifeed 2500 persone, dipendenti presso diverse organizzazioni e imprese, in una survey che puntava a capire che tipo di impatto la crisi pandemica stesse avendo sulle persone. Ne è emerso che il 68% dei lavoratori ha riconosciuto che sono nate “nuove routine”, mentre il 55,6% ha detto di aver acquisito “maggiore flessibilità” e il 44,6% ha scoperto che questo periodo ha generato “nuove possibilità”.  La stragrande maggioranza delle persone ha riconosciuto di aver usato maggiormente competenze per la “gestione del cambiamento” (80%), il 52,7% ha sperimentato “apertura mentale”, il 36,6% ha fatto uso di “creatività”, il 32,4% di “intraprendenza” e il 23,9% di “ visione”.

Alla ricerca di nuovi equilibri 

Le analisi di Lifeed rivelano al tempo stesso che il 61% delle persone interpellate ha dichiarato di essere preoccupato per il futuro: il 50% è incerto, il 34% ha paura, il 43% si sente stanco e il 74% reputa che aumenterà la richiesta di supporto psicologico. Nulla di strano: perché ogni transizione, come abbiamo visto, è occasione per imparare cose nuove. Insieme alla paura, la fatica, l’impotenza, alleniamo la flessibilità, scorgiamo nuove possibilità, riconosciamo di aver appreso nuove competenze, diventiamo capaci di gestire il cambiamento, più resilienti, più creativi. 

Non dobbiamo avere paura della paura, del disagio, della crisi: ciò che mina il nostro equilibrio costringe a trovarne uno nuovo e, nel farlo, ad apprendere qualcosa di più di noi stessi, un accrescimento che ci rende anche più liberi. Questo vuole dire imparare ad imparare dalla vita. Nella transizione, essenziale diventa saper guardare quello che abbiamo dentro: ridefinire ciò che siamo e ascoltarci, capire che cosa ci coinvolge, le risorse che mettiamo in campo e che cosa invece ci blocca. Tutti elementi chiave per il benessere e per crescere come persone e come professionisti, nel nostro lavoro. E qui un altro grande elemento del cambiamento: ridisegnando la vita di ciascuno di noi, l’emergenza pandemica ha reso evidente che le dimensioni di vita privata e professionale non sono poli distinti da tenere in equilibrio: la nostra vita privata non è come la Tv, che puoi accendere rientrando a casa dal lavoro. 

"Liberare" la vita privata

Soprattutto quando l’ufficio è entrato con lo smart working nella nostra vita privata, riducendo d’un tratto le distanze personali e rivelando a ciascuno la complessità di ciò che realmente siamo in tutte le nostre dimensioni e ruoli di vita. La vita privata ha un’enorme impatto su quella professionale, ma la novità è che è giusto che sia così: va liberata, dispiegata. La crisi, infatti, è stata anche una liberazione. 

Sembra un paragone eretico, eppure, ora, possiamo essere davvero più liberi. Liberi “da” qualcosa, cioè liberi da quella routine che soffocava ed opprimeva i nostri desideri, liberi da tutto ciò che ci opprimeva già “prima”. Abbiamo l’occasione di scegliere, finalmente, di essere diversi, per essere liberi “di” esprimerci in un modo più in linea con ciò che siamo e che vogliamo. È normale provare paura o ansia durante questo passaggio: sono segnali di sviluppo, che ci suggeriscono che siamo sulla strada giusta per operare cambiamenti sostanziali. Siamo stati in attesa, in silenzio per mesi: abbiamo osservato, ascoltato, ma ora siamo pronti per dare spazio ai nostri nuovi desideri. L’apprendimento più rilevante ed efficace è quando si adatta alle esperienze personali. Pochi altri eventi, nella vita, ci aiutano a cambiare (in meglio!), a rinnovarci, quanto una crisi. 


Ringraziamo Riccarda Zezza per il contributo.

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