Raccontare e spiegare la Scienza. Intervista ad Agnese Baini di SISSA

Raccontare e spiegare la Scienza. Intervista ad Agnese Baini di SISSA

Perché è importante occuparsi di divulgazione scientifica oggi e quali sono gli strumenti per farlo bene? Lo abbiamo domandato ad Agnese Baini, divulgatrice scientifica e assegnista di ricerca e docente presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste.

20/02/2024 , tempo di lettura 4 minuti

La divulgazione scientifica rappresenta un’opportunità preziosa da non sprecare. Significa rendere accessibili a più persone possibili la ricerca e le scoperte accademiche, un modo per creare inclusione e nuove possibilità all’interno della società nel suo insieme e nel campo della ricerca stessa.

Feltrinelli Education ha ideato a questo scopo la “Factory: scrivere un libro di divulgazione scientifica”, un percorso sia teorico che pratico di 5 mesi con espertə del settore, in cui si impareranno i fondamentali della scrittura e le tecniche di storytelling applicati alla divulgazione per arrivare alla realizzazione di un prodotto editoriale. Per l’occasione abbiamo intervistato la curatrice e docente della Factory, Agnese Baini della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, i cui temi d’interesse sono legati alla salute mentale, a cui dedica articoli culturali e scientifici e diversi volumi di divulgazione scientifica.


Qual è stato il percorso che ti ha portata a occuparti di divulgazione scientifica e che consigli daresti a chi nutre il desiderio di cimentarsi nel medesimo campo?

Ho iniziato facendo tutt’altro. Vengo da Lettere, ho studiato Storia dell’editoria e poi, durante l’Erasmus a Glasgow, in Scozia, ho frequentato History of Media. Con il programma Erasmus Traineeship ho lavorato in una biblioteca nella sezione di libri antichi, quindi avevo a che fare proprio con i primi libri stampati: è stato qui che ho iniziato a interessarmi alla comunicazione di questi temi. Erano argomenti molto tecnici e il mio compito era quello di cercare di raccontare tutte le storie che c’erano dietro. 

Fino a pochissimi anni fa alla comunicazione della scienza non ci pensavo minimamente, ma poi sono tornata in Italia a Trieste e, avendo sviluppato delle competenze in comunicazione, sono stata contattata per curare un blog di salute mentale: mi occupavo della scrittura e correzione di articoli, della gestione del sito e dei social media. È stato durante questo periodo che ho iniziato a interessarmi a come comunicare meglio i temi della salute mentale, che è veramente complicatissimo perché – oltre alla narrazione dei sistemi sanitari e dei diversi paradigmi di cura – è necessario porre attenzione al fatto che si stanno trattando storie reali di persone che stanno vivendo momenti di sofferenza e che ricevono diagnosi di disturbi di malattie mentali, e che quindi c’è anche un tema di diritti di fondo.

In seguito, ho deciso di frequentare il master in Comunicazione della Scienza di SISSA per approfondire meglio i temi di cui avevo iniziato a occuparmi. Nel mentre ho continuato a curare libri e a scrivere articoli nell’ambito della comunicazione della salute e, proprio in questo periodo, ho capito che con la scrittura – che è sempre stata la mia zona sicura – potevo spaziare molto, e quindi mi sono occupata anche di scrittura per podcast, di progetti di ricerca, diversificando sul tema e adattando i vari prodotti ai loro pubblici. 

Un consiglio che posso dare è sicuramente di provare iniziando da un piccolo progetto – per me è stato il blog –, tenendo a mente che quando si fa comunicazione scientifica bisogna confrontarsi con le regole della comunicazione e attenersi a un rigore scientifico che va oltre la comunicabilità. Poi, ci sono dei corsi molto validi, sia più lunghi che più brevi, per chi vuole fare della divulgazione scientifica un lavoro. I master sono utili perché sei circondatə da altre persone che condividono i tuoi stessi interessi, che siano altrə studentə o docenti che già lavorano nel campo, quindi hanno come plus la parte di rete e connessioni. 

La ricerca scientifica non è fine a sé stessa e non è neutra, serve sempre a un tale scopo e a qualcunə. C’è però un modo per renderla più inclusiva? Come si promuove una ricerca davvero a servizio della società?

Lavorando su progetti europei. L’Unione Europea sta spingendo molto in questo senso con quella che viene chiamata “RRI”, Responsible Research & Innovation: si tratta di puntare sempre di più su una ricerca collegata ai bisogni della società, partendo dalla progettazione e rispondendo dalla fase iniziale alla domanda “a cosa serve la mia ricerca?”. Secondo me, la volontà dall’alto, di chi finanzia, di andare in una direzione in cui fare ricerca deve avere delle ripercussioni positive sulla società c’è. Nella pratica è più difficile vedere le ricadute sul quotidiano. Esistono discipline il cui impatto sulla vita di tutti i giorni è più lampante, come nella medicina o nelle scienze sociali, mentre altre magari sono più difficili da visualizzare, ad esempio per l’algebra o nello studio dei buchi neri. 

Dal punto di vista di chi fa comunicazione, quindi anche dal mio, per essere aperta la ricerca va comunicata. Questo significa che anche se lo studio è sui buchi neri – che con la mia vita potrebbe non c’entrare nulla – il mio lavoro è quello di riuscire a raccontarlo, perché è in questo modo che si rende la ricerca, le scoperte, gli ultimi articoli disponibili a tutte le persone. Se già miglioriamo il livello di alfabetizzazione e creiamo degli eventi (per esempio nelle zone più periferiche e non solo al caffè delle scienze in centro) allora andiamo sempre di più verso una direzione precisa: portare la Scienza fuori dalle istituzioni e farla incontrare con il mondo, mettere in contatto realtà diverse per dare vita a nuove possibilità, far comprendere cosa fa la Scienza per ispirare carriere future anche in chi, nel suo quotidiano, non ha modo di confrontarsi con chi si occupa di questi argomenti. 

Fare divulgazione bene, usando le giuste tecniche di narrazione e un linguaggio non escludente, pensata e rivolta a un pubblico ampio, è il primo passo. Ma con quali canali e come si raggiungono le persone?

Con tutti i canali possibili ed esistenti al mondo! Aggiungerei anche che i libri sono fondamentali in questo processo, però poi se osserviamo i dati vediamo che la maggior parte delle persone in Italia non li legge… E quindi, ogni tanto, può funzionare meglio la fiction Rai. Pensiamo alla fiction su La Storia di Elsa Morante: ha portato il libro primo in classifica delle vendite. Oppure c’è stata La città dei matti – sulla storia della chiusura del manicomio da parte di Basaglia qua a Trieste –, che è sempre una fiction Rai e ha contribuito a far conoscere questa vicenda… Adesso, non è che la fiction Rai sia l’unica soluzione! Quello che voglio dire è che bisognerebbe riuscire a pensare a tutte le modalità possibili di diffusione e provare a immaginarsene di nuove: lo stiamo già facendo con i fumetti e le graphic novel, gli eventi – ad esempio presentazioni di libri nelle biblioteche, soprattutto in periferia, come facciamo anche noi [di SISSA] –, presentando nelle scuole. Più si è creativə e più si riescono a raggiungere nuovi formati, nuove modalità, nuovi pubblici. 

Il tuo è un compito di traduzione, un modo per rendere la ricerca comprensibile, accessibile e che quindi dà (o restituisce) potere. Si può affermare che la divulgazione scientifica sia un’azione politica?

Sì, assolutamente. Leggevo un articolo che mostrava come i casi di mortalità da COVID nel Regno Unito erano maggiori nelle zone con meno accesso all’informazione e alla comunicazione scientifica, quindi forse è proprio la prova che l’atto di comunicare la Scienza è un atto politico che in certi casi può addirittura salvare vite, perché poi è di questo che si parlava. Secondo me oltre alla parte di traduzione della ricerca, si tratta soprattutto di vedere come, proprio grazie a questa trasposizione, ci siano letteralmente delle ripercussioni sulla vita delle persone, un fattore che dà valore alla volontà di raccontare quello che si fa. 

Sicuramente fare divulgazione è un atto politico perché la Scienza è un po’ anche in parte come vediamo il mondo, come accediamo alle informazioni e come riusciamo ad analizzarle e a capirle; e quindi anche le scelte politiche che facciamo, a partire da chi eleggiamo come nostrə rappresentanti, fino ad azioni di attivismo che possiamo decidere di intraprendere.

Un consiglio di lettura + 1.

La prima risposta che mi viene da dare sono tutti i libri di Olivia Laing, in particolare l’ultimo Everybody edito da ilSaggiatore. Si tratta di saggi densissimi in cui unisce la biografia di diverse persone, la psicanalisi e la storia della psichiatria, l’arte, parla di storie dal carcere… Per raccontare un tema che è quello del corpo, servendosi di articoli e ricerche scientifiche e parlando anche di come si fa la ricerca scientifica.

Voglio consigliare anche Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino, pubblicato da Einaudi. La scrittrice ci racconta del suo tentato suicidio, di quando si è lanciata dal quinto piano di un palazzo e non è morta. Nel libro, Marino affronta tutto quello che le è capitato: da cosa l’ha spinta ad arrivare a quel momento e a compiere quel gesto, fino al percorso di guarigione. Lo fa unendo ricerche che inizia a compiere sul significato del suicidio nella nostra società; si interroga su cosa sia la depressione, in particolare quella post-partum che l’aveva colpita. Secondo me è una lettura necessaria, sia per il tema – perché è una voce che non capita mai di essere letta, quella della suicida –, sia per come unisce l’autofiction, quindi il racconto biografico, alla ricerca scientifica.


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