Su LinkedIn l’essere mamma diventa ufficialmente un lavoro

Su LinkedIn l’essere mamma diventa ufficialmente un lavoro

In un mercato del lavoro che penalizza le donne e in cui il lavoro familiare è quasi del tutto appannaggio del sesso femminile, LinkendIn fa un piccolo, importante passo

24/04/2021 , tempo di lettura 4 MINUTI

“Essere mamma è un lavoro a tempo pieno”, una frase che ognuno di noi ha sentito decine di volte. Tutto vero, ma solo in teoria. La pratica racconta una storia molto diversa in cui per molte donne l’essere madri si trasforma in un ostacolo lavorativo quasi insormontabile. Ed è per questo che la rivoluzione annunciata da LinkendIn acquista un significato importante. Per la prima volta, il tempio dei professionisti di tutto il mondo, il luogo in cui si esibiscono le proprie competenze e si trova un'occupazione, riconosce a tutti gli effetti la genitorialità come un lavoro. Un lavoro vero, al pari di tutti gli altri. 

Su LinkedIn mamma, ma anche papà 

Il social network di proprietà di Microsoft ha introdotto nuove categorie professionali, tra le quali “mamma casalinga” e “papà casalingo”. Lo scopo di queste modifiche è consentire a chi fa il genitore a tempo pieno di descrivere quello che, nonostante la mancata retribuzione, è ed è sempre stato un lavoro che impiega milioni di persone in tutto il mondo, il 90% delle quali di sesso femminile, dando nuova dignità ad un’attività che richiede formazione, impegno e competenze. “Pensate per un attimo al rapporto, meraviglioso e complicatissimo, con i figli che crescono. A quante competenze il genitore debba ricorrere in ogni istante: come l’autonomia, l’autostima, la capacità di adattamento, la resistenza allo stress, l’autocontrollo, la pianificazione, la gestione delle informazioni. La gestione di una famiglia è il più duro e gratificante corso di soft skills che esista: giusto che finalmente LinkedIn se ne sia accorta”, scrive Riccardo Luna su Repubblica

Bef Ayenew, direttore dell'ingegneria di LinkedIn, ha anticipato a Fortune che si tratta solo di un primo passo, “una soluzione provvisoria”, poiché il social network sta lavorando a una revisione più completa dei suoi curriculum digitali. 

La battaglia di Heather Bolen 

Le novità annunciate da LinkedIn sono arrivate in seguito a una battaglia condotta dalla scrittrice americana Heather Bolen che, sul suo blog, ha criticato la mancanza di opzioni disponibili per le donne che hanno lasciato il proprio lavoro per dedicarsi alla famiglia. "LinkedIn deve porre rimedio al suo pregiudizio implicito contro le donne", ha scritto Heather Bolen in un post. "Sorprendentemente, ci sono zero opzioni preimpostate su LinkedIn per identificare congedo di maternità, congedo parentale, congedo di adozione, congedo per malattia, congedo per lutto, congedo per assistenza agli anziani o per infortunio/malattia, anno sabbatico per viaggi o anno sabbatico o per una pandemia ", ha continuato Bolen. "Mi sento scoraggiata e mi chiedo perché sia ​​ancora necessario, nel 2021, dover trovare degli escamotage per descrivere qualcosa di così comune ed essenziale su una piattaforma globale come LinkedIn”. 

Donne: cresce l’emergenza lavoro 

Dare una dignità alle madri a tempo pieno, sia che lo facciano per scelta o perché non hanno alternative, è un passo importante verso il riconoscimento di una parità di genere che, per il momento, sotto il profilo lavorativo sembra ancora molto lontana e che anzi, dopo l’emergenza Covid-19, pare essere diventata un’utopia. 

Secondo i dati pubblicati da Fortune, negli Usa 2,3 milioni di donne hanno lasciato il lavoro nell’ultimo anno. Da un lato con la chiusura di scuole e asili nido a causa delle restrizioni imposte dai Governi Federali sono venuti meno i servizi di assistenza alla genitorialità e nella stragrande maggioranza dei casi sono state le donne a dover rinunciare al loro posto di lavoro. Dall’altro proprio scuole e asili nido impiegano una forza lavoro a maggioranza femminile e dunque la loro chiusura ha avuto come conseguenza l’uscita (temporanea o definitiva) di molte donne dal mondo del lavoro. 

In Italia va ancora peggio. Secondo un rapporto pubblicato a marzo 2021 dall’Istat, in collaborazione con ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal, a distanza di un anno dall’esplosione della pandemia di Covid, le categorie più colpite dalla crisi sono quelle che erano già prima lavorativamente più svantaggiate. In cima alla lista, neanche a dirlo, ci sono le donne. Nel 2020 il tasso di occupazione femminile è sceso dell’1,3%, quello maschile dello 0,7%. Il che significa non solo che le donne che hanno perso il lavoro sono il doppio rispetto agli uomini, ma anche che il divario occupazionale esistente ha continuato ad ampliarsi: erano 17,8 i punti di distacco nel 2019, sono diventati 18,3 nel 2020. Male anche il dato relativo alle assunzioni: nei primi 9 mesi del 2020 le assunzioni femminili sono calate del 26,1%, quelle maschili del 20,7%. 

Quali sono invece gli equilibri, anzi sarebbe più corretto dire gli squilibri, relativi al lavoro familiare? Secondo la Lavoce.info “l’analisi della distribuzione del tempo dedicato al lavoro familiare, nelle varie combinazioni di modalità di lavoro, illustra come le donne lavorino più ore in famiglia. In quasi tutte le possibili combinazioni di modalità lavorative le donne dedicano, infatti, più ore dei loro partner al lavoro domestico”. Durante la pandemia, la differenza è molto significativa nelle famiglie in cui l’uomo ha continuato a lavorare in ufficio e la donna invece ha lavorato da casa. Se però invertiamo le due cose (uomo in smart working e donna in ufficio) “le donne dedicano comunque più tempo al lavoro familiare degli uomini (2,92 contro 1,40 ore al giorno). La distribuzione del lavoro familiare penalizza le donne anche nelle situazioni simmetriche, ossia anche quando entrambi i membri della coppia lavorano da casa”, conclude Lavoce.info.

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