Ruth Bader Ginsburg: la storia di un'icona culturale

Ruth Bader Ginsburg, la giudice che divenne un’icona culturale

Abile stratega, lavoratrice instancabile, femminista, Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema Usa, è ormai un riferimento nel mondo della cultura. Scopri perché.

05/01/2021 , tempo di lettura 5 MINUTI

Seconda donna nella storia a entrare a far parte della Corte Suprema Usa nel 1993, icona femminista grazie al suo impegno come pioniera dei diritti delle donne, Ruth Bader Gingsberg, conosciuta anche con il soprannome “The Notorius RBG”, scomparsa a 87 anni lo scorso settembre, è diventata un imprevisto simbolo per una generazione molto più giovane di lei, scriveva il New York Times nel necrologio.

L’apparenza inganna

Fino al 2009, quando la collega Sonia Sotomayor fu nominata giudice, seguita l’anno dopo da Elena Kagan, Ginsburg era stata l’unica giudice donna insieme a otto uomini: ricordano quegli anni, li chiamava “i tempi bui” perché, diceva, nella mente delle persone “l’immagine della Corte che si riuniva in aula era quella di otto uomini e di una donna minuta, seduta a lato. E non era una bella immagine”.

Ma per quanto minuta e fragile, Ginsburg era esattamente l’incarnazione del detto “l’apparenza inganna”: grazie a una notevole capacità strategica e alla selezione attenta dei casi, riuscì infatti a persuadere i colleghi maschi della Corte Suprema della necessità di lavorare contro la discriminazione di genere, riconoscendo alla questione una rilevanza costituzionale.

Il metodo RBG

Il metodo scelto la espose anche a molte polemiche perché spesso, fin da quando esercitava come avvocato - posizione in cui portò sei casi davanti alla Corte Suprema tra il 1973 e il 1978, vincendone cinque - scelse dei casi che mettevano in discussione aspetti della legislazione che apparentemente favorivano le donne. Il suo obiettivo era ottenere norme o modifiche a quelle esistenti in grado di determinare una uguaglianza sostanziale, sradicando quelle leggi che invece erano costruite in base a stereotipi sulle capacità e i bisogni di donne e uomini. 

Il modo in cui lo fece spesso coinvolse casi in cui erano gli uomini a ricevere, in virtù di leggi basate su tali pregiudizi e stereotipi, dei trattamenti più sfavorevoli rispetto alle donne. In questo modo - questa era la convinzione di Ginsburg - era possibile proporre il tema a giudici maschi che, altrimenti, avrebbero difficilmente prestato orecchio al quel tipo di istanze. Tutto per raggiungere l’obiettivo reale: liberare uomini e donne dai ruoli che legge e società avevano loro assegnato e usare la Costituzione come leva per abbattere le strutture costruite per mantenere e rafforzare questi ruoli. 

Studi e carriera

Nata a Brooklyn nel 1933, da una coppia di ebrei emigrati da Odessa, Ginsburg terminò le scuole superiori in anticipo a 15 anni. Sua madre, che aveva insistito perché avesse un’educazione superiore, morì il giorno prima del suo diploma. In seguito frequentò la Cornell University, laureandosi in legge, per poi iscriversi nel 1955 in giurisprudenza alla Harvard Law School, dove era una delle 9 studentesse su 500 iscritti. In seguito, per seguire a New York il marito Martin Ginsburg, con cui si era sposata nel 1954, si trasferì alla Columbia University terminando gli studi nel 1959. Nonostante la sua eccellente formazione e numerose referenze, Ginsburg dovette faticare per trovare lavoro perché gli studi legali non volevano assumerla in quanto donna.

Dalla discriminazione alle battaglie femministe

Questo però fu uno dei fattori che la portò, spinta proprio dalla sua esperienza diretta, a occuparsi di discriminazione di genere: prima come ricercatrice e poi direttrice associata alla Columbia Law School Project, lavoro che la portò all’inizio degli anni ‘60 in Svezia, dove rimase colpita dall’elevato numero di studentesse nella facoltà di legge di Lund. 

Dal 1963 al 1972 fu assunta come docente di processo civile alla Rutgers University, ma il suo stipendio era molto più basso di quello dei suoi colleghi maschi perché aveva un marito con un lavoro ben retribuito. Dal 1972 al 1980 insegnò alla Columbia University, dove fu la prima donna a ottenere la cattedra. In quel periodo scrisse anche un libro di testo sulla legge sulla discriminazione sessuale e collaborò come volontaria con l'American Civil Liberties Union.


Mentre proseguiva con determinazione la sua carriera, Ginsburg ebbe due figli - Jane, nata nel 1955, e James, nato nel 1965. Subito dopo la nascita della figlia, al marito fu diagnosticato un cancro ai testicoli: la futura giudice, in quel periodo, frequentò le lezioni ad Harvard prendendo appunti per entrambi (anche il marito, scomparso nel 2010, dopo un matrimonio durato 56 anni, fu un avvocato nel settore fiscale e in seguito divenne professore di diritto tributario al Georgetown University Law Center), assistendo contemporaneamente la figlia neonata e il coniuge malato. 


Le cause in tribunale e poi le sentenze emanate come giudice della Corte d'appello degli Stati Uniti d'America per il Distretto della Columbia, dove era stata nominata nel 1980 e dove lavorò fino alla nomina alla Corte Suprema, scardinando lentamente quello che Ginsburg chiamava “l’incasellamento del ruolo sessuale”, contribuirono intanto a renderla una paladina dei diritti delle donne. 


Icona culturale

Da lì a diventare anche un’icona culturale, oltre che del femminismo, il passo è stato inaspettato, ma relativamente breve. La biografia intitolata “Notorious RBG: The Life and Times of Ruth Bader Ginsburg” appena uscita nel 2015 entrò subito nella classifica dei libri più venduti. Poco dopo seguì “I dissent”, un altro libro sulla sua vita raccontata ai bambini. Nel 2018 uscirono due film: uno biografico, “Alla corte di Ruth”, e uno ispirato a uno dei suoi casi, “Una giusta causa”. Nel frattempo su Internet presero a circolare moltissimi meme che la ritraevano con uno dei suoi caratteristici colletti di pizzo bianco. Oggi il suo volto e le sue parole sono stampati sulle magliette.


Così, pesando ogni parola, studiando con cura la strategia, lavorando instancabilmente, lottando anche contro i suoi problemi di salute - per due volte Ginsburg affrontò prima il cancro al colon nel 1999 e poi un tumore al pancreas nel 2009, che ne causerà in seguito la morte - la giudice minuta e determinata ha dato un’impronta nuova alle  leggi sulla parità, incoraggiando ogni donna a prendere il posto che le spetta: “in ogni luogo dove si prendono le decisioni”.


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