Soft Skill: una nuova materia per le scuole?

Soft Skill: come la scuola può insegnare agli studenti le competenze trasversali

Le Soft Skills sono sempre più richieste nel mondo del lavoro. Ma si possono insegnare? E come si potrebbe riuscire a farlo? Leggi l'articolo per scoprirlo.

22/04/2021 , tempo di lettura 3 MINUTI

Saper risolvere i problemi e cogliere le occasioni giuste nel momento in cui si presentano, riuscire a gestire lo stress lavorativo, essere propensi a lavorare in gruppo, collaborando con i colleghi e prendendo l’iniziativa quando serve, saper comunicare in modo chiaro ed efficace. Un tempo si parlava semplicemente di doti caratteriali, oggi invece queste abilità vengono definite soft skill e per le aziende stanno diventando sempre più importanti, tanto che da sole possono incidere sulla decisione di assumere oppure no un lavoratore. Se in “competizione” ci sono due lavoratori in possesso delle stesse competenze tecniche, ad ottenere il posto sarà proprio chi avrà mostrato di avere il maggior numero di competenze trasversali. Addirittura, in base a diversi studi, molte aziende preferiscono assumere lavoratori meno preparati sulle cosiddette hard skill, ma più dotati sotto il profilo delle competenze soft, perché questi ultimi saranno capaci di recuperare in fretta il gap iniziale e di sviluppare in maniera più veloce e costruttiva il loro potenziale lavorativo. E questa tendenza diventerà sempre più marcata nei prossimi 20 anni. Anzi, già entro il 2025 un terzo delle competenze richieste sarà legato a queste abilità che molti erroneamente continuano a considerare marginali. 

È per questo che molti si chiedono se le soft skill siano abilità “innate” o se invece si possano allenare, educare e imparare cominciando già da bambini a sviluppare competenze che a 20-30 anni di distanza diventano determinanti in campo lavorativo. Fondamentale in questo contesto è la scuola, il luogo dedicato all’apprendimento e alla socialità

Le soft Skill e i test invalsi 

Una ricerca commissionata dalla Provincia autonoma di Trento e coordinata da Giorgio Vittadini, professore di statistica all’ateneo Milano-Bicocca e presidente di Fondazione per la sussidiarietà, e Giuseppe Folloni, professore di economia all’università di Trento mostra come le non cognitive skill (altro nome delle soft skill) incidono già sui risultati scolastici degli studenti

Nel dettaglio, l’analisi condotta tra 1.500 studenti di quinta elementare e terza media ha mostrato come gli alunni dotati di maggiore stabilità interiore, intesa nel senso di una più elevata coscienziosità e apertura all’esperienza, e di una più alta stabilità emotiva abbiano ottenuto un punteggio migliore nei test invalsi. Al contrario, i ragazzi e le ragazze che non si sentono responsabili dei propri risultati hanno ottenuto un punteggio più basso. 

Lo studio spiega inoltre che sui risultati incidono anche alcune variabili legate al capitale sociale. Quali? Leggere un libro può far salire di tre punti il voto Invalsi, fare i compiti può portare a un aumento di due punti, così come il background socio-economico familiare.

“L’indagine fornisce un’indicazione chiara: insegnare le sole nozioni non basta a introdurre alla conoscenza e alla competenza, ma occorre la riscoperta di persone, relazioni, valori, per affrontare con intelligenza ed entusiasmo il cambiamento imposto dalle circostanze in cui viviamo”, ha dichiarato Vittadini. 

Le soft skill si possono imparare? 

La ricerca mostra che un’impostazione didattica finalizzata a stimolare l’iniziativa e la creatività degli studenti è in grado di migliorare il risultato dei test. Inoltre, gli studenti che hanno seguito programmi educativi volti a migliorare le loro soft skill hanno riscontrato degli effetti positivi su stabilità emotiva e relazionale, ottimismo e autoefficacia. 

Come aiutare i bambini ad apprendere queste competenze trasversali? Creando degli spazi che stimolino la loro creatività e la loro curiosità, spingendoli a riflettere sul fatto che i “compiti” non sono solo una seccatura cui adempiere prima di tornare a giocare, ma un’occasione per imparare conoscenze che serviranno per tutta la vita. Sotto il profilo pratico può essere utile organizzare un “book club”, in cui ogni alunno debba leggere un libro per poi esporre le proprie considerazioni di fronte ai compagni, o dividere la classe in gruppi, spingendo gli studenti a lavorare insieme per realizzare un progetto. Talvolta può essere opportuno superare i limiti del “programma didattico” e trattare argomenti relativi all’attualità (sociale, culturale, economia e via dicendo), aiutando i ragazzi e le ragazze a comprendere i problemi del presente e a sviluppare un pensiero critico. Tutto ciò che mira a migliorare in positivo la loro personalità e a incrementare le loro capacità di “affrontare il mondo” si dimostrerà utile anche nel loro futuro lavorativo. 

I Consigli del Washington Post 

Riflessioni simili vengono portate avanti in ogni parte del mondo. Un recente articolo del Washington Post riflette per esempio sul modo in cui, nell'era di Black Lives Matter e #MeToo, i genitori e gli insegnanti possono aiutare i giovani ad affrontare il tema della giustizia sociale. “Puoi iscriverli a un corso di musica che sviluppa la comprensione del genere e della personalità. Una storia di drag queen sarà presto uno show televisivo per grandi e piccoli. E ci sono sempre più libri per bambini che discutono dell'intersezionalità e ne ampliano la rappresentazione, oltre a flashcard e brevi video che insegnano a genitori e bambini le idee contro il razzismo,” spiega il giornale. Nicole Stamp, autrice e conduttrice televisiva di programmi per bambini che ha co-fondato la ByUs box, una scatola di giocattoli, libri e progetti che mira a smantellare i pregiudizi per i bambini di 2 anni, aggiunge: "Insegnare ai bambini ad avere una mentalità equa e un senso di giustizia sta dando loro un'abilità cruciale che li aiuterà nella vita".

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